Giù la maschera

L'Italia chiamò

Scegliere la maglia della nazionale di calcio, in un Paese in cui mettere d'accordo otto persone per l'asta del Fantacalcio è un'impresa, sa di epico

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Scegliere la maglia della nazionale di calcio, in un Paese in cui mettere d'accordo otto persone per l'asta del Fantacalcio è un'impresa, sa di epico. Le possibilità che piaccia a tutti sono le stesse che abbiamo di vincere gli Europei. Anche toccando ferro, non molte.

Possiamo immaginare quindi le reazioni che susciterà la nuova maglia, presentata ieri, che i calciatori italiani indosseranno ai prossimi Europei. Classico colore azzurro, strisce tricolori lungo le spalle e stemma sul petto - dove si tiene la mano, perché l'Italia è sempre nel cuore! -, la maglia, per la prima volta nella sua storia, porterà sul colletto una strofa dell'Inno di Mameli. «L'Italia chiamò».

Gli italiani, ai quali piace molto rispondere ad appelli a cui nessuno li ha chiamati, diranno subito la loro. Accusando la Federazione, lo sponsor, il governo e la Meloni nel migliore dei casi di nazionalismo, nel peggiore di sovranismo, e in quelli più stupidi di fascismo. A molti quelli che da trent'anni rodono nel tifare «Forza Italia» quando giocano gli azzurri - piacerà confondere un canto risorgimentale, composto nel 1847, e peraltro mal tollerato nel Ventennio, con qualche motto mussoliniano. Tipo «Credere, ubbidire e cercare di vincere una partita!». E per fortuna non hanno scritto sulla maglia, rischiando pericolose assonanze, «L'Italia s'è desta!».

In Italia, si sa, anche il calcio è politica.

Ma per fortuna la politica è meno importante del calcio.

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