Periferie d'Italia

Napoli e il caffè tra mito e tradizione

Storia di un legame nato nel Seicento e diventato simbolo di una città, tra caffettiera napoletana e "culto" dell'espresso

Napoli e il caffè tra mito e tradizione

In piazza Garibaldi, sul lato destro, esiste uno dei bar più famosi di Napoli, lo storico Caffè Mexico aperto negli anni Sessanta, oggi rilevato da Aldo Castagnola e dalla moglie.

Fu il terzo caffè aperto dalla torrefazione Passalacqua, dopo quello di piazza Dante e del Vomero. Furono i primi che portarono a Napoli i “frigobibite”, apparecchi per refrigerare le bevande che arrivavano finalmente in Italia. Qui fu anche servito, come novità assoluta per la città, il succo d’ananas. Oggi sembra scontato poterlo chiedere in un bar, ma all’epoca era qualcosa di davvero esotico. Il bar, che serviva anche frappè, era ovviamente famoso per il caffè. L’attività fu poi ceduta rimanendo però concessionaria di Passalacqua. La torrefazione Passalacqua, pur essendo poco conosciuta fuori da Napoli, è forse una delle piccole realtà che producono caffè più amate a Partenope. Il loro cafè è esportato in tutto il mondo dovunque siano presenti comunità di napoletani.

Si tratta di un’azienda famigliare che ha come simbolo un indiano che si lecca i baffi.

L’azienda è ancora fedele alla tradizione napoletana, non solo nella produzione del caffè, ma anche nella sua estrazione. Nello stabilimento il caffè viene lavorato con un macchinario di tradizione napoletana, l'antico sistema con cui si faceva in passato.

A Napoli paradossalmente il caffè, che oggi viene considerato uno dei simboli della città, arrivò molto tardi. La bevanda, d’origine etiope e yemenita, arrivò in Europa grazie agli arabi e ai turchi. Fu Venezia, che aveva forti legami commerciali con il Medio Oriente, la prima città a farne in Italia, probabilmente già dal XVI secolo. La vera moda del caffè esplose in Europa solamente nel Settecento, quando ogni città europea si dotò di almeno un caffè, che divenne presto il luogo preferito dagli intellettuali e artisti.

A Napoli la leggenda vuole che sia stato il musicologo romano Pietro della Valle, nel Seicento, a farlo conoscere. L’intellettuale avrebbe abbandonato la Città Eterna per una delusione amorosa e si sarebbe stabilito a Napoli. Da qui dopo qualche anno sarebbe partito per la Terra Santa dove si sarebbe innamorato di una splendida donna. Scrivendo ad un amico, il medico, grecista, arabista e poeta Mario Schipano, il musicologo racconta di una specialissima bevanda detta “kahve”: “Un liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate e riempite nuovamente durante le conversazioni che seguivano il pasto”. Molti sostengono che al suo ritorno abbia introdotto il caffè a Napoli. In realtà non si sa bene chi portò per primo il caffè in città. Quello che è certo è che si diffuse solamente nell’Ottocento e che Napoli lo ha reso uno dei suoi simboli.

Prima che la moka la soppiantasse in parte, nelle case napoletane, il caffè si faceva con la caffettiera napoletana, che in realtà era stata inventata dal francese Morize nel 1819. La particolarità della caffettiera napoletana è il serbatoio della bevanda. Esso è infatti dotato di un beccuccio che, in fase di cottura, è voltato verso il basso e non verso l'alto. Quando l'acqua giunge all’ebollizione, un sottile filo divapore esce dal forellino del serbatoio dell'acqua, segnalando che è giunto il momento di prendere saldamente la caffettiera per i due manici e voltarla a testa in giù. Il serbatoio dell'acqua si viene così a trovare sopra quello che raccoglie il caffè. L'acqua scende quindi per effetto della forza di gravità, passa attraverso il serbatoio del caffè e il filtro e si raccoglie nel serbatoio. Come per la moka, le dimensioni variano a seconda della quantità di caffè che si desidera ottenere; la capienza della caffettiera si misura in tazze o in persone.

A Napoli anche la macchina da espresso per i bar è rimasta quella a leva messa in commercio a Milano dopo la seconda guerra mondiale da Achille Gaggia. Le macchine a leva usano la pressione dell’acqua anziché quella del vapore. In questo caso i partenopei sono rimasti assolutamente fedeli alla tradizione. Nel resto del paese si trovano quasi sempre quelle semi automatiche. In città esiste ancora l’ultimo artigiano che le fa completamente a mano. La piccolissima azienda familiare Bosco ha un laboratorio in Corso Vittorio Emanuele, dove produce macchine espresso a leva completamente a mano e personalizzate.

L’azienda produce pochi esemplari che vengono venduti in tutto il mondo.

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