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Napoli e il culto dei morti, tra cristianità e paganesimo

Quella tra Napoli e la morte è una relazione strana e uno dei posti migliori per comprenderla è questo quartiere

Napoli e il culto dei morti, tra cristianità e paganesimo

I teschi sono messi uno accanto all’altro in file geometriche. Molti di loro si trovano in piccole casette di legno o hanno sopra monetine, biglietti dell’autobus, corni napoletani o altri doni. Sembra il Messico, ma è il cimitero delle Fontanelle di Napoli al Rione Sanità.

Quella tra Napoli e la morte è una relazione strana e uno dei posti migliori per comprenderla è questo quartiere. Quest’aspra vallata che si apre inaspettata tra le colline era un tempo la valle sacra dove i greci e i romani seppellivano i loro morti nelle catacombe. La zona era anche legata al culto dei vergini o anche eunostidi, una tradizione greca antica che predicava la castità maschile. Il rione è una groviera di cunicoli di tufo che appartengono catacombe che negli ultimi anni erano state completamente abbandonate. In molti casi erano diventate cantine, se non corridoi segreti utilizzati da bande di ladri per raggiungere i negozi da sotto. Oggi è invece rinato.

Questo incredibile mondo sotterraneo ha da sempre influenzato la cultura napoletana. Con il passaggio dal mondo pagano a quello cristiano divenne il luogo in cui raccogliere le spoglie dei credenti e in cui portare i resti di San Gennaro, vescovo di Benevento e martire. Le spoglie furono donate alla città dal vescovo di Napoli Giovanni I che le trasportò fra il 413 e il 431 nelle catacombe di Capodimonte, oggi di San Gennaro. Gli antichi cimiteri divennero quindi anche luoghi di pellegrinaggio in cui venerare santi e martiri. Questi posti vennero pian piano dimenticati dopo che nell’ 831 d.c quando il principe longobardo di Benevento Sicone I assediò Napoli e rubò le spoglie del santo per riportarle a Benevento e poi a Monte Vergine dove rimasero fino al 1497.

Le catacombe vennero riscoperte nel 1600, epoca in cui riemersero dalla storia strani culti. In quella di San Gaudioso i nobili pagavano moltissimi soldi per essere messi da morti a essiccare in degli scolatoi in cui gli “schiattamorti”, li bucherellavano per fare uscire i liquidi dal corpo. Era un lavoro durissimo che veniva fatto da carcerati, monaci puniti per colpe varie o dai più poveri. Queste persone di solito morivano molto presto per colpa delle durissime condizioni di lavoro. Una volta che il corpo si essiccava si prendeva la testa del nobile e la si murava affrescando sotto il resto dello scheletro ed elementi che ricordavano le sue cariche. Questi riti da una parte ricordavano che la morte era uguale per tutti, ma di fatto finivano per riproporre le disparità sociali essendo riservati solo alla nobiltà.

Del tutto speculare è la venerazione delle anime “pezzentelle” nel vicino cimitero delle Fontanelle. Le fosse comuni di Napoli erano piene di corpi di persone morte in calamità naturali, per epidemie o per motivazioni ignote. Nella cultura partenopea il Purgatorio ha un ruolo importantissimo e i morti e i vivi si possono dare una mano reciproca, soprattutto se poveri. Le anime “pezzentelle” sono le persone che non hanno nessuno che preghi per loro perché buttate in fosse comuni. La tradizione vuole che adottando i loro teschi “le capuzzelle”, prima o poi le loro anime appaiano di notte. Si crea così un legame di aiuto reciproco in cui i vivi pregano per i morti, si recano alle Fontanelle o in altri cimiteri e mettono “le capuzzelle” su fazzoletti o cuscini con rosari e altri doni vicino. In cambio di questo sollievo i vivi chiedono delle grazie. Se si realizzano i fedeli fanno una casetta per il teschio, lo si lucida e gli si fanno delle offerte. Se non si avvera lo si abbandona di nuovo. Questo culto era ancora in uso fino agli anni Settanta ed in parte sopravvive ancora oggi.

Girando per il Rione Sanità è anche impossibile non notare che ogni cinquanta metri ci sono antiche edicole votive piene di fotografie di persone morte. A Napoli, come al tempo dei romani, si venerano ancora i parenti morti. Sono dei moderni “lari”, gli spiriti degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale.

È impressionante notare come in un’enorme e popolosa metropoli europea si siano conservati riti delle grandi città romane e greche dell’antichità. La tecnologia ha permesso alle persone di usare la fotografia per un rito che ha più di duemila anni di storia e di cui forse non si coglie completamente il significato. Modernità e classicità si sono fuse in una miscela del tutto contemporanea.

Il culto della morte, in chiave misterica o ironica, è presente anche tra i giovani dove abbondano tatuaggi o adesivi con teschi.

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