Giù la maschera

Non c'è Barbie senza Ken

Non c'è pace per le femministe di lotta e di lamento. Tutto è patriarcato, ovunque spira una mascolinità tossica

Non c'è Barbie senza Ken

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Non c'è pace per le femministe di lotta e di lamento. Tutto è patriarcato, ovunque spira una mascolinità tossica. E così, l'altra notte, dopo l'annuncio delle candidature agli Oscar, è partita l'onda lunga dell'indignazione per una doppia intollerabile esclusione: di Margot Robbie, alias Barbie, dalla categoria «Miglior attrice»; e di Greta Gerwig da quella di «Miglior regista». Tanto più colmo dell'umiliazione che Ryan Gosling, cioè Ken, è nella cinquina per il «Miglior attore non protagonista» (e, da vero attore, ha fatto persino finta di lamentarsi). Insomma, capite che se nel film più femminista dell'anno, in cui le donne ricoprono i ruoli principali, la persona che ottiene più riconoscimenti è un uomo, abbiamo un problema etico più che cinematografico. E il fatto che Barbie abbia ottenuto otto nomination e che per la prima volta nella storia dell'Academy ci siano tre film girati da donne nella gara principale, per le amazzoni cinefile è solo un dettaglio. Persino quando perdono tra donne, la colpa è degli uomini.

Dicono: «Non c'è Ken senza Barbie». Ma, estremizzando, anche Barbie senza Ken, alla fine, sarebbe solo una single sull'orlo della depressione. Ci spiace molto per la bellissima bambola Margot Robbie. Ma, al netto di comprensibili rivendicazioni di genere, l'Oscar lo si vince ancora per la performance attoriale, non per l'afflato morale. In futuro, chissà. Verrà il giorno che la statuetta per il Miglior attore lo vincerà una donna.

In un film distopico.

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