Guerra in Ucraina

Oggi più che mai servono armi e aiuti

Spesso le emozioni separano la ragione dalla realtà

Oggi più che mai servono armi e aiuti

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Spesso le emozioni separano la ragione dalla realtà. Secondo un sondaggio, l'opinione pubblica occidentale, con percentuali alte pure in Italia, si mostra pessimista sull'esito della guerra in Ucraina. C'è anche chi ne deduce che forse gli aiuti a Kiev andrebbero centellinati e con Vladimir Putin tanto varrebbe chiuderla qui. È un dato emotivo, ma appunto, come dicevamo, spesso l'emozione è nemica della ragione perché mai come ora ha un senso assicurare armi e finanziamenti agli ucraini. Mai come ora - forse ancor più di un anno fa - è fondamentale che Kiev resista e contenga l'armata rossa perché per indurre lo Zar «assassino» a trattare c'è bisogno che l'esercito ucraino sia competitivo, partendo da un concetto che molti conflitti hanno trasformato in una verità: i despoti comprendono solo il linguaggio della forza.

È un concetto basilare che potrà apparire strano solo a chi pensa che le guerre si fermino solo con le bandiere o le coccarde arcobaleno o, per usare la strofa di una famosa canzone degli anni '70, mettendo i fiori nei nostri cannoni. Espressioni e manifestazioni da rispettare per l'impegno, ma non certo per l'efficacia del loro effetto. Magari fosse così semplice, chi lo pensa non ha imparato la severa lezione della storia. Se non si aiuta l'Ucraina oggi, non si andrà verso una tregua ma verso una resa che penalizzerà non solo il governo di Kiev ma l'intero Occidente. Inoltre, se non si dimostra ancora una volta a Putin che si può resistere al suo esercito, per il quale ha ridotto la Russia ad un'economia di guerra, quella montagna di risorse messe in campo finora dall'Europa e dagli Stati Uniti e, soprattutto, quelle vite ucraine sparse sui campi di battaglia saranno state - costa dirlo - solo sacrifici vani. Per giunta, lo dice uno che non è incline ad usare iperboli, è evidente che se lo Zar avesse solo la più lontana sensazione di poter vincere, se avesse la prova che la strategia dell'orco assicura risultati, da qui a qualche anno avremo a che fare con tanti conflitti, con altre Ucraine di turno prese di mira solo per soddisfare l'appetito e la voglia di revanche della Russia. Ecco perché se si vuole davvero la pace, una pace giusta, bisogna riportare le lancette dell'orologio del conflitto a tre mesi fa, quando i due eserciti erano in equilibrio.

Il discorso sulle emozioni nemiche della ragione, però, va fatto con franchezza anche a Zelensky (nella foto). Ora l'Occidente deve fare tutto quello che è in suo potere per ridare vigore all'apparato militare ucraino (è un dovere morale), ma quando si tornerà ad una situazione di stallo il governo di Kiev non deve illudersi sulle ali dell'entusiasmo, come la primavera scorsa, non deve tornare a covare desideri di vendetta e sogni di gloria. A quel punto Zelensky deve davvero assumersi un impegno: deve essere disponibile all'apertura di una trattativa, deve considerare la possibilità di un compromesso che non abbia per Kiev il sapore della sconfitta. Nella consapevolezza che se l'Ucraina dopo due anni di guerra non è tornata ad essere una provincia russa, se è riuscita a restare dalla parte delle democrazie, se avrà la possibilità di inserirsi nel sistema occidentale per quanto riguarda le regole di mercato, gli stili di vita e gli organismi di difesa, per Putin sarà una sconfitta.

Erano ben altri i piani dello Zar quando inviò due anni fa i suoi paracadutisti a morire nei cieli dell'aereoporto di Kiev nel tentativo di deporre Zelensky e mettere al suo posto un suo fantoccio. Da lì bisogna partire per stilare l'elenco dei vinti e dei vincitori, perché per avere un quadro chiaro della situazione bisogna essere consapevoli dello scenario da cui si è partiti. È il primo passo per immergersi in un bagno di realismo e rendersi conto che non è la riconquista del Donbass o della Crimea a determinare la vittoria, ma la constatazione che al cospetto del mondo nel frattempo l'Ucraina è diventata una nazione vera e non un'invenzione geografica, come ha sostenuto Putin per giustificare la guerra, parafrasando la stessa frase che Metternich duecento anni fa dedicò all'Italia.

Kiev, se non vuole svilire il suo sacrificio, deve essere convinta di non aver combattuto una guerra per qualche lembo di territorio, ma la sua guerra di indipendenza.

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