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Perché tutelare lo "stile di vita europeo" non è sovranista

Perché tutelare lo "stile di vita europeo" non è sovranista

Uno spettro si aggira per l'Europa: quello del «Commissario per la protezione dello stile di vita europeo». Non è un arbiter elegantiae che deve definire la lunghezza delle cravatte nella Ue, ma la ridenominazione della carica che fino alla scorsa eurolegislatura era di «Commissario alle migrazioni, agli affari interni e alla cittadinanza». Stesse competenze del ministro, ma diverso nome. Una scelta che ha innescato uno tsunami di indignazione, dietro la quale c'è qualche buona ragione e una colossale debolezza di fondo.

Partiamo dalle prime. L'accusa è semplice: collegando immigrazione e stile di vita in pericolo, si veicola il concetto cardine della xenofobia, per cui dall'esterno arrivano le minacce alla «civiltà indigena». Un atteggiamento di ostilità e chiusura che può prendere mille rivoli, dal sovranismo al razzismo all'islamofobia. D'altronde proteggere significa letteralmente «coprire davanti», fare scudo, difendere. Dato che non ci si difende dalle cose buone, surrettiziamente si lascia intendere che l'immigrazione non sia cosa buona. Il che è questione dibattuta da sempre e per sempre. A ognuno la sua opinione, ma considerando che da un decennio il tema è al centro del dibattito politico e filosofico da Göteborg a Salonicco, la disputa resta aperta. E come minimo si deve ammettere che un problema esiste.

Ad ogni modo, l'accostamento fra i due temi è oggettivamente divisivo e un po' facilone. Tant'è che Ursula von der Leyen - che ieri ha rinviato ogni decisione in merito dopo gli attacchi concentrici di Letta, Juncker & C. - starebbe pensando di fare un passo indietro, ripristinando la vecchia denominazione e di fatto cancellando il riferimento alla difesa dei fondamenti culturali europei.

È qui che si apre l'atavico vuoto di equilibrio e coraggio di cui si parlava. Quello che è stato riempito dagli Orban di turno. Quello che ci impedisce di giudicare il nucleo della questione. Ovvero: siamo sicuri che la salvaguardia delle radici comuni europee sia di per sé una cattiva idea? Siamo certi che rifiutarsi di mettere alcuni paletti irrinunciabili (e indispensabili per la vera integrazione) solo per paura di risultare criptosovranisti non sia in realtà il miglior modo per ridare carburante alle tesi della «Fortezza Europa»?

Se non ci fermiamo pigramente alle dispute sulle parole, le uniche pudenda di cui ormai ci si vergogna, e lasciamo che il pensiero scenda in profondità dal manicheismo mediocre al piano dei contenuti, dovremmo pensare a cosa sia in concreto lo «stile di vita europeo». Di certo non è banalmente guidare Renault mangiando würstel e non si difende vietando il kebab. Stile di vita europeo è la democrazia dell'antica Grecia, la libertà religiosa degli editti di Galerio e Costantino, l'umanesimo rinascimentale, il suffragio femminile introdotto in Corsica nel 1755, l'uguaglianza della Rivoluzione francese, le prime leggi ecologiste inglesi, le pensioni volute da von Bismarck, l'abolizione del lavoro minorile e le battaglie socialiste, la Danimarca primo Paese ad ammettere unioni omosessuali. Non esattamente patrimonio dei soli sovranisti.

Lo stile di vita europeo è quello che ci fa essere solidali con chi cerca rifugio e orgogliosi della nostra libertà, che per alcuni è perfino troppa. È un triste cortocircuito vedere i super-europeisti rinunciare a difendere nei fatti (e non solo con le bandiere ai balconi) quei fondamenti dell'Unione che dicono di amare. Il tutto per evitare il tabù di dire una volta per tutte che l'immigrazione va gestita e ai diritti devono seguire i doveri.

Per questo ci permettiamo di suggerire alla presidente von der Leyen una soluzione: ci sono commissioni per qualunque cosa, perché non sdoppiare queste due? Una per l'immigrazione e una per la protezione dello stile di vita europeo, minacciato soprattutto dagli stessi europei che non ne colgono la sacralità. Sarebbe la migliore risposta a chi vede solo la sua parte di cielo, sarebbe la terza via all'europeismo: tra il lassismo autodistruttivo e buonista e il sovranismo cieco e intollerante, sarebbe la via del buon senso. Quella che noi - europeisti normali ma non «super», che non cambieremmo Parigi con Mosca o Roma con New York - sentiamo più nostra. E che ci porta ad accogliere ogni diversità con curiosità, ma pretendendo rispetto delle regole e senza abiurare alle nostre radici civili.

Non è diverso da quanto cercano di fare i genitori con i loro bimbi. Quelli iperprotettivi li tengono chiusi in una campana di vetro e li fanno crescere asociali e timorosi del mondo; quelli menefreghisti li mandano a giocare a pallone in circonvallazione all'ora di punta e non si preoccupano delle brutte compagnie; in mezzo ci sono i tanti che provano a insegnare loro dei valori e ad aprirsi agli altri bambini, ma affermano il diritto di avere un minimo di controllo sulla loro educazione e sulle loro frequentazioni. Non è garanzia che funzioni, ma è l'unica maniera per provare a farli crescere sanamente «protetti». Dai guai, ma anche dalle loro paure.

Succede coi bimbi, succede con i cittadini di un continente.

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