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Pronti alla guerra, anzi no, forse: l'Italia segue l'onda dell'Onu

Al Palazzo di vetro prevale la linea molle: niente blocco navale, niente armi o soldi al governo di Tobruk, nessun intervento. E Renzi si accoda

Pronti alla guerra, anzi no, forse: l'Italia segue l'onda dell'Onu

No ai soldati, sotto con i diplomatici. Al Palazzo di Vetro prevale la linea soft: bocciato il blocco navale voluto dall'Egitto, niente armi o soldi al governo di Tobruk, nessun intervento sotto le bandiere dell'Onu. La crisi libica verrà quindi affrontata politicamente, attraverso una trattativa tra le parti, e i cinquemila uomini che il ministro della Difesa Roberta Pinotti era pronta a schierare resteranno a casa. E pazienza se il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni chiede di «agire in fretta perché il tempo non è infinito», o se Mrs Pecs Laura Mogherini sostiene che «è una questione di giorni e non di settimane»: le Nazioni unite, almeno per ora, non vogliono mandare le truppe a fronteggiare l'Isis, che via Twitter rilancia le minacce a Roma: «Stiamo arrivando, per volontà di Dio».

L'Italia avrà comunque «un ruolo guida» nell'ambito dell'iniziativa, per adesso soltanto negoziale, delle Nazioni unite. Intanto dobbiamo tenere calmo e in caldo l'Egitto. Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza con delega ai servizi segreti, è già volato al Cairo per consegnare al presidente Abdel Fatah al Sisi «un messaggio» di Matteo Renzi: una missione, riferiscono fonti di intelligence, utile per «rafforzare i negoziati» tra le parti sulla Libia, fare fronte comune per «arginare le derive terroristiche» e capire chi può sedersi al tavolo delle trattative. E forse presto lo stesso Renzi andrà in Egitto in visita ufficiale a rinsaldare i bulloni di un'alleanza strategica nella regione. «Arriverà la prossima settimana», scrive Al-Ahram sul suo sito, ma Palazzo Chigi smentisce: la trasferta prevista è quella del viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, che guiderà una delegazione di imprenditori.

È dunque l'ora della diplomazia. Bernardino Leon, rappresentante dell'Onu per la crisi libica, nonostante la situazione di un vuoto di potere e di una nazione divisa in tre, riesce ad essere ottimista: «Le distanze tre la parti non sono insormontabili. Si può arrivare a un accordo politico tra le fazioni che attualmente dividono il potere perché si formi un governo di unità nazionale che avrà bisogno del sostegno forte e inequivocabile della comunità internazionale».

L'Italia ospita nei suoi uffici del Palazzo di Vetro la riunione del crisis group sulla Libia. «Siamo pronti a contribuire al monitoraggio di un cessate il fuoco e al mantenimento della pace, pronti a lavorare all'addestramento delle forze armate in una cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare e per la riabilitazione delle infrastrutture», dice davanti al Consiglio di sicurezza il nostro rappresentante permanente Sebastiano Cardi. E «pronto» si dichiara pure Angelino Alfano, a Washington per il megavertice sull'estremismo islamico voluto da Barack Obama. «Non c'è traccia reale di un nesso tra immigrazione e terrorismo - spiega il ministro dell'Interno - Ma non si può escludere nulla, siamo parte di una comunità internazionale e siamo pronti a fare la nostra parte».

Dopo le fughe in avanti di Gentiloni e della Pinotti, sconfessati un paio di giorni dopo da Matteo Renzi, che aveva escluso un intervento militare, poi la parziale retromarcia del ministro degli Esteri, «niente crociate, però il tempo sta finendo». La linea italiana sembra dunque ancora ondeggiante, magari per scelta consapevole, perché l'obbiettivo del governo è quello di restare nel «gruppo di testa».

A Washington la Mogherini partecipa a un vertice a quattro Usa-Ue-Onu-Egitto, poi parla al summit contro l'islamismo radicale. La Libia, «un mix perfetto di armi, risorse naturali e finanziarie, assenza di struttura statale, contrabbando e traffico di esseri umani, è sul punto di esplodere» e quindi bisogna fare «tutti gli sforzi per aiutare Leon a mettere in piedi un governo di unità nazionale».

Ma si tratta, sostiene l'Alto rappresentate della politica estera della Ue, «dell'ultima speranza».

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