Mondo

Il pulsante europeo dell'autodistruzione

L’escalation di tensione ha la colonna sonora di un conto alla rovescia verso l’implosione di un’idea di Continente

Il pulsante europeo dell'autodistruzione

Se esistesse una stanza dei bottoni, nascosta da qualche parte fra Strasburgo e Bruxelles, bisognerebbe cercare chi ha schiacciato il tasto dell’autodistruzione dell’Europa. Perché l’escalation di tensione a cui stiamo assistendo ha la lenta e angosciante colonna sonora di un conto alla rovescia verso l’implosione di un’idea di Continente. Quella basata sulla cooperazione, la pace, il libero scambio e quel sogno generazionale della libera circolazione chiamato Schengen. E se non si vedono all’orizzonte mani sagge che possano bloccare lo sfascio, forse si intravede qualche responsabile.

Il vertice sull’immigrazione in programma oggi - inutile illudersi - sarà solo un’accelerazione di questa prospettiva. E non può essere altrimenti. Perché sul banco non ci sono più i parametri economici, asfissianti ma tutto sommato condivisi, seppur con un diverso grado di flessibilità. Oggi sul banco c’è il fondamento stesso della solidarietà europea: la scelta fra una soluzione comunitaria dei problemi o il ritorno all’ognun per sé. La degenerazione del linguaggio diplomatico, l’inacidirsi dei conflitti fra cancellerie e addirittura fra presunti statisti degenerati al rango di bambini dell’asilo, non è un bel segnale. «Irresponsabili», «ipocriti», «nemico»: è un vocabolario da gazzarra degno del peggior Novecento.

Ma è indicativo. C’è una volontà di potenza sotterranea che fa capolino anche fra i Paesi più europeisti e che non può essere imputata esclusivamente ai populisti nazionalisti. Il manicheismo di angeli e demoni, illuminati e barbari, è stantio e sciocco. La «lebbra», per dirla alla Macron, non arriva da Marte. Come ogni eresia, affonda le sue radici negli errori della chiesa. E oggi che sull’Europa si combatte una guerra che è in tutto e per tutto di religione, vale la pena chiedersi chi siano i simoniaci e i venditori di indulgenze che hanno scatenato i nuovi protestanti. La chiusura ermetica del blocco di Visegrad è un indiziato. L’egoismo francese - urlato, rivendicato, beffardamente e arrogantemente imposto - un altro. Neppure la rigida Germania dell’austerità aveva mai negato la realtà nella sua visione Berlinocentrica dell’Unione Europea.

L’attacco frontale di Macron all’Italia («Non esiste alcuna crisi migratoria, se non accolgono chi sbarca vanno puniti») porta lo scontro a un livello superiore. È la delegittimazione degli sforzi di un Paese lasciato da solo a svuotare il mare per raccogliere i disperati che nessuno vuole. È l’immorale senso di superiorità con cui per secoli gli Imperi hanno vilipeso le loro colonie. Il problema è che il tempo delle colonie francesi - chiedere agli algerini torturati, o all’Indocina - per fortuna è finito. E comunque l’Italia, nonostante Vivendi, Louis Vuitton e le varie scorribande finanziarie, ha felicemente superato da un paio di secoli la Repubblica Cisalpina.

L’Europa non è matrigna, non è il male assoluto, anzi è stata per mezzo secolo una garanzia di progresso ed equilibrio anche ideologico. Ma al contrario del diavolo che cerca di convincere il mondo della sua non esistenza, è come se l’Europa stesse cercando di convincere anche i suoi più convinti sostenitori che il suo ruolo è concluso, disciolto nella nebulosa di interessi meschini ed elettorali di presidentini e caudilli. E poco cambia se uno si fa eleggere sulle note dell’Inno alla gioia e l’altro piazza il filo spinato sui confini.

Nel miope tramonto del Vecchio Continente Macron e Orban pari sono: due facce aggressive e due colpevoli impronte digitali lasciate sul bottone dell’autodistruzione dell’Europa.

Commenti