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Quasi mille euro per un litro: così funziona l'industria del sangue

Quasi mille euro per un litro: così funziona l'industria del sangue

All'estero i donatori vengono pagati a ogni prelievo di sangue: un rimborso, nemmeno tanto simbolico, per incoraggiare la raccolta delle sacche e per non lasciare mai a secco le riserve. Da noi non è necessario, oltre a essere vietato per legge. I volontari ci sono comunque, anche senza ricompensa, in nome di un altruismo che, una volta tanto, racconta il volto di un'Italia sana. Ma come sta in piedi il meccanismo della raccolta di sangue? E quanto vale il nostro «oro rosso»? Per capirlo abbiamo seguito il percorso di una sacca di sangue (450 millilitri), da vena a vena, da donatore a paziente.

L'iter è complesso e costoso. Di mezzo non ci sono i carati ma una lavorazione complicata anche in Italia che rende il sangue più prezioso dell'oro. Il business è enorme ma, a differenza di altri Paesi europei, è gestito interamente a livello pubblico e tracciabile in ogni sua tappa.

A conti fatti, una trasfusione costa 400 euro: 180 euro per produrre un'unità di globuli rossi e per acquistare la sacca per la raccolta, che da sola vale circa 20 euro. E poco più di 200 euro occorrono per sostenere le spese relative a medici, infermieri e materiale necessario al prelievo, dalle garze sterili alle siringhe. Significa che in un anno investiamo oltre un miliardo di euro per gestire le entrate e le uscite dalla banca delle sacche, «società» di cui tutti (da donatori o riceventi) prima o poi potremmo avere un'«azione».

IL CATALOGO PUBBLICO

Negli Stati Uniti il sangue è un prodotto commerciale come gli altri: si vende e si compra al pari di qualsiasi altro bene, plasma in particolare. Le aziende farmaceutiche lo acquistano per lavorarlo e per rimetterlo sul mercato sotto forma di farmaci, gli emoderivati. E lo stesso avviene in Germania, in Repubblica Ceca, in Austria, legittimamente. In Italia invece il sangue è proprietà delle Regioni. Non viene venduto ma al massimo ceduto da una regione all'altra, o da un ospedale all'altro, a seconda delle esigenze e delle quantità raccolte. Beninteso, lo scambio delle sacche non è regolato da semplice spirito di solidarietà e mutuo aiuto. Esiste un tariffario, approvato dal ministero della Salute, che fissa i prezzi di ogni elemento di sangue nel momento in cui viene ceduto da una regione all'altra. I globuli rossi valgono 181 euro a sacca, il plasma da aferesi (cioè estratto dal sangue intero) 171 euro, le piastrine hanno prezzi che variano da 19 a 418 euro, i linfociti 478 euro. Ovviamente il rimborso per la cessione sale se in ballo ci sono le cellule staminali da aferesi, in cui valore è pari a 668 euro per ogni unità. Il tariffario a cui le regioni si affidano per regolare lo scambio del sangue stabilisce anche le tariffe standard per i trattamenti: il lavaggio manuale delle cellule costa 27 euro, il processo di congelamento e scongelamento va da 148 a 246 euro.

Ci sono altre spese da considerare: si tratta dei rimborsi erogati alle associazioni che si occupano della raccolta del sangue: dall'Avis alla Fidas, dalla Fratres alla Croce Rossa. Anche in questo caso il sistema sanitario ha stabilito delle quote a cui far riferimento. Per ogni sacca di sangue intero raccolta dalle associazioni, un ospedale rimborsa 61,50 euro e 70,75 per ogni sacca di plasma. La cifra comprende sia la copertura delle spese per le attività associative (la chiamata dei volontari per le donazioni, la gestione del calendario dei prelievi, il coordinamento dei volontari), sia quelle per le attività di raccolta vera e propria (la catalogazione delle dosi prelevate, il trasferimento nei centri di raccolta).

IL PERCORSO

La filiera del sangue è lunga ma tracciabile. Ogni sacca ha un codice e il suo iter è ricostruibile passo per passo, dalla sede della donazione al centro di raccolta e lavorazione, fino al reparto ospedaliero. Che percorso fa il sangue prelevato dal braccio del donatore? Innanzitutto una piccola quantità viene analizzata per verificare che sia sicuro, di qualità, e per individuare il gruppo sanguigno. Poi il sangue passa al settore frazionamento in cui ogni componente viene separato dagli altri (globuli bianchi, rossi, piastrine, plasma). Per farlo vengono utilizzate procedure meccaniche: le sacche vengono centrifugate e i vari elementi, una volta separati, vengono trasferiti nelle sacche satelliti collegate. Dopo la scomposizione, il plasma viene subito congelato e potrà restare nel «freezer» fino a due anni se mantenuto costantemente a meno 25 gradi. I globuli rossi invece andranno utilizzati nell'arco di 42 giorni e le piastrine entro cinque giorni. I centri trasfusionali provvedono allo stoccaggio delle unità prelevate, alla conservazione e alla logistica. In base alle richieste, il sangue va ai reparti ospedalieri. Il plasma invece in parte viene utilizzato per le trasfusioni e in parte viene destinato alle aziende farmaceutiche (che non lo acquistano come all'estero ma lo ricevono in base a bandi pubblici): qui viene trasformato in farmaci plasmaderivati salvavita. E se viene raccolto più sangue del dovuto? «Il sangue non avanza mai - spiega Giancarlo Maria Liumbruno, presidente del Centro nazionale sangue - perché c'è una programmazione delle donazioni e riusciamo a pianificare la raccolta calibrando domanda e offerta». L'Italia, con i suoi 3 milioni di unità raccolte all'anno (13,5 milioni di litri), ha raggiunto l'autosufficienza sul fabbisogno di sangue nel 2000 e si basa su un mutuo aiuto tra regioni: chi raccoglie di più «vende» alle regioni che raccolgono meno o che hanno il più alto numero di richieste, come ad esempio la Sardegna dove è alta la concentrazione di malati di talassemia. «La titolarità del sangue - spiega Liumbruno -, così come del plasma, rimane pubblica in tutte le fasi di lavorazione. L'Italia esporta e cede i medicinali plasmaderivati in eccesso nell'ambito di specifici programmi, solo con un recupero dei costi di produzione. Dal 2012 sono stati esportati più di 25mila flaconi di medicinali plasmaderivati».

LE NUOVE REGOLE

La mappa delle sedi di lavorazione del sangue è destinata a cambiare. A breve. Così come quella delle sedi dove il sangue viene testato per accertare l'assenza di virus trasmissibili con la trasfusione. Le direttive europee ci impongono di mettere ordine e spariranno anche i centri locali in cui viene lavorato poco sangue. Le sedi che trattano meno di 40mila unità di sangue intero all'anno e quelle che fanno i test su meno di 70-100mila dovranno confluire in centri più grandi.

«Per noi è fondamentale migliorare il sistema, aumentando efficienza ed efficacia - commenta il presidente di Avis, Vincenzo Saturni - ma dobbiamo bilanciare questa esigenza con quelle dei donatori e potrebbe essere importante mantenere attive alcune sedi più piccole. In alcune zone non va bene spostarsi troppo lontano dal donatore, altrimenti rischieremmo di demotivarlo e di perderlo. Non possiamo chiedergli di percorrere decine di chilometri, magari in strade di montagna, per una donazione. Dove ci sono già pochi centri, penso alla Basilicata, al Molise e alla Valle d'Aosta, certe realtà regionali potrebbero comunque restare aperte». «Il sistema verrà centralizzato - aggiunge Liumbruno - e verosimilmente le sedi potrebbero calare da 280 a una settantina. Questa nuova organizzazione consentirà anche di aumentare l'efficienza e risparmiare sui costi. Altri Paesi come l'Olanda hanno un solo polo di produzione.

La raccolta del sangue deve rimanere invece diffusa sul territorio e deve essere agevolato l'accesso dei donatori».

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