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Sotto il ciuffo l'idea di un'Europa britannica

L'aspirante leader dei conservatori non crede che l'interesse britannico si possa fare a Bruxelles

Sotto il ciuffo l'idea di un'Europa britannica

Non è solo questione dell'essere quasi sempre contro. Boris Johnson non è solo questo. Comodo ridurlo a una definizione: quello col ciuffo, il gaffeur, l'eccentrico, il buffone. Il sindaco di Londra è molto complesso e, pur essendo quasi tutte le cose scritte prima messe insieme, è un politico di quelli tosti. Uno con un'idea. Uno con molte idee. Dunque la follia serve a provare a rendere la sua posizione a favore dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea così estemporanea da essere politicamente non rilevante. Invece no. È studiata, pensata, voluta, decisa. È intelligentemente provocatoria, perché guidata da una precisa convinzione: l'accordo per evitare la Brexit, così come firmato qualche giorno fa, non è sufficientemente vantaggioso per la Gran Bretagna. Johnson vuole di più. Johnson pensa che un referendum che spinga Londra fuori dall'Ue dia quella forza popolare(...)(...) e, dunque, politica per avere di più da Bruxelles. Non lo pensa da ora, lo teorizza da tempo. Seduto sulla poltrona della città più importante d'Europa vede molte cose. Vede un Paese, il cui destino peraltro è interamente nelle mani della capitale quindi della città che lui governa, che funziona meglio, che s'è ripreso dalla crisi del 2008 alla grande, che attira capitali esteri, che macina crescita economica, che ha azzerato o quasi la disoccupazione. E vede che tutto questo è oggi minato dalla rigidità eurocratica dell'Unione. Un'Unione che conosce meglio di altri, avendola vista da vicino: suo padre fu europarlamentare e lui, Boris, a Bruxelles ha lavorato per anni come corrispondente del Daily Telegraph. Allora sì, Johnson è tutto quello che si dice di lui. È un tipo buffo, col capello arruffato, la giacca sgualcita, la camicia e a volte la lingua fuori posto. Uno sbagliato che diventa giusto. Con un'ambizione personale proporzionata alle sue stravaganze. L'hanno spesso dipinto come un clown, un mezzo matto capace di divertire più che di governare. Uno con una vita bizzarra, fin dall'inizio. L'abbiamo già scritto una volta, ma vale la pena ricordarlo: si chiama Boris come omaggio a un signore russo che offrì un passaggio per New York ai suoi genitori. Erano due studenti che nel 1964 stavano facendo un viaggio in America. Non avevano un soldo, lei era incinta. Dovevano raggiungere una città e trovarono un alleato straniero che più straniero non si poteva. Boris permise a questo bimbo di nascere e loro, Charlotte e Stanley, lo ricambiarono dando al bambino il suo nome. Alexander Boris de Pfeffel Johnson. Non uno qualsiasi, a dispetto del viaggio squattrinato nel quale nacque. In realtà viene da un albero genealogico complicato, ma molto chic: il suo bisnonno era il turco Ali Kemal, poeta e politico liberale filo occidentale assassinato quando era ministro degli Interni. Sposò Winifred, mezza svizzera e mezza inglese, che diede il suo cognome ai figli. Uno era Stanley, padre di Boris, ricercatore universitario, giornalista, intellettuale, politico diventato appunto eurodeputato nel 1979. La mamma, Charlotte, era figlia del Lord liberale Fawcett, una famiglia con antenati ebrei lituani e nobili francesi.

Oggi i Johnson contano 17 nazionalità diverse, ma un'identità britannicamente corretta, al punto che il sindaco di Londra più volte è stato protagonista di uscite che qui da noi sarebbero state considerate razziste: dice, per esempio, che gli inglesi dovrebbero fare più figli per non perdere il confronto demografico con altre razze, dice che le britanniche che sposano gli immigrati saranno un problema per il Paese perché le donne occidentali poi rinunciano ai loro principi e alle loro rivendicazioni accettando i soprusi di chi non le vuole libere.È un politico coraggioso, Boris. Un leader liberale globale. Nel 2013, ricordando Margaret Thatcher al Centre for Policy Studies di Londra, pronunciò un discorso che oggi potrebbe essere il manifesto del liberalismo contemporaneo. Un inno al mercato, alla libertà, alla ricerca della ricchezza, alla disuguaglianza che migliora la società. L'orgoglio dell'essere britannico, dell'idea di sovranità nazionale: «La Thatcher ha reso possibile parlare dell'idea di rimettere il concetto di Gran associato a quello di Bretagna, senza sentirsi in imbarazzo.

E ci ha donato un'idea nuova, o ha dato nuova vita a una vecchia idea, quella che la Gran Bretagna rappresentasse un tipo di cultura imprenditoriale un po' corsara, con il vento salmastro che ci arruffa i capelli; un ambiente di bucanieri dove non esiste alcuna vergogna nel diventare ricchi, ma piuttosto il contrario. Ha trasformato l'idea di Gran Bretagna da palla al piede dell'Europa a centro logistico dinamico e affollato». È questo ciò che sta a cuore a Johnson: ribadire coi fatti che il centro dell'Europa non è Bruxelles o Berlino, ma Londra. Il che è spiegato dai numeri, oltre che dallo spirito. Il che non può che scontrarsi con lo statalismo transnazionale dell'Unione europea, alla quale Boris già in quel memorabile discorso riservava una critica feroce.

Che cosa farebbe Maggie oggi? si chiedeva quel giorno a proposito dell'Ue: «Penso che riconoscerebbe che c'è una possibilità di ottenere un accordo migliore. È ora di riordinare il sistema dell'immigrazione per poter porre fine alla follia. Al momento diciamo di aver posto un limite all'immigrazione con una riduzione del 60% dei neozelandesi, quando non possiamo fare niente per fermare l'intera popolazione della Transilvania - per quanto simpatica possa essere - dal cercare di mettere le tende a Marble Arch (...) È tempo di porre fine alle assurdità in stile soviet della politica comune agricola, di riorganizzare la direttiva europea sull'orario di lavoro, di persuadere gli eurocrati che è ora di smetterla di dirci che cosa dobbiamo fare».Era il dicembre del 2013, la Brexit non era neanche immaginabile. Oggi sì, per questo è favorevole. Non c'è nulla di folle, se non un preciso disegno politico, compresa l'ambizione personale di fare qualcosa di più grande alla fine del mandato di sindaco di Londra. Vuole ottenere un risultato che farebbe paura all'Europa. Lo vuole per sé, per la Gran Bretagna. È stare da leader in un contesto internazionale. È difesa del proprio interesse.

Il ciuffo non c'entra, c'entrano la politica e un'idea di come farla.

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