La tragedia del Mottarone

"Ordinò lui il blocco dei freni": tutte le accuse ricadono su Tadini

Tadini ha ritrattato la sua versione iniziale, ha ammesso di aver fatto un errore col forchettone "ma era volontà dell'azienda". Ma le versioni non combaciano

"Ordinò lui il blocco dei freni": tutte le accuse ricadono su Tadini

Secondo quanto messo a verbale alle 23.45 di martedì, Gabriele Tadini, capo servizio delle ferrovie del Mottarone, si è detto consapevole dell’errore che ha commesso lasciando i forchettoni, ma anche aggiunto che“questa era la volontà della società”. Dopo un paio d’ore, Tadini è stato posto a fermo con il titolare della società, Luigi Nerini, e il direttore d’esercizio, Enrico Perocchio, per la tragedia della funivia del Mottarone che domenica 23 maggio è costata la vita a 14 persone.

L'evento raro e quel rumore sospetto

Nella notte di sabato Tadini, come riportato dal Corriere, ha fatto ritorno nella propria abitazione dove resterà agli arresti domiciliari. Gli altri due indagati, su decisione del gip di Verbania, sono stati rimessi in libertà. La tragedia della funivia ha cambiato per sempre la vita anche di Tadini, che a 63 anni si apprestava ad andare in pensione dopo 36 anni di servizio. Al suo legale, l’avvocato Marcello Perillo, avrebbe detto:“Dio mi giudicherà”. Durante l’interrogatorio davanti al procuratore Olimpia Bossi e al capitano della compagnia dei carabinieri di Verbania Luca Geminale, ha asserito: “Mai e poi mai avrei pensato che la fune traente avrebbe potuto spezzarsi”. Disgraziatamente però è accaduto e, seppur si tratti di un evento raro, la traente si è rotta.

Le cabine dovrebbero avere i freni di emergenza che le bloccano evitando così che parta e precipiti. Il giorno della tragedia i freni però erano stati volutamente bloccati e non potevano quindi frenare la folle corsa della funivia. Tadini ha ripercorso con la mente quella domenica mattina assolata e zeppa di turisti. “Come di solito ho aperto la stazione, ho verificato che tutto fosse in ordine. Ho avviato intorno alle 9-9.10 una corsa di prova, che consiste nel fare una corsa completa a bassa velocità, per verificare che in linea sia tutto a posto”. Secondo quanto appurato in seguito, nella cabina caduta tre ore dopo, era emerso un problema alla centralina dell’impianto frenante, con un rumore sospetto e fastidioso, “dovuto presumibilmente alla perdita di pressione del sistema frenante” che “chiudeva una delle due ganasce”.

A quel punto gli inquirenti hanno chiesto a Tadini cosa fece in quel caso. “Se l’impianto di sicurezza rileva un’anomalia, la funivia non parte (…). Per impedire questo problema, e far entrare in funzione la cabinovia, ho evitato di togliere il forchettone è stata la risposta dell’indagato. Inizialmente Tadini aveva detto di aver deciso da solo sul da farsi e di non aver avvisato né Nerini, né Perocchio. Quando però il suo ruolo è cambiato, e da testimone si è trasformato in indagato, ha cambiato la sua versione, asserendo di aver “sempre informato il signor Nerini Luigi dei problemi e della necessità di far intervenire i tecnici, cosa su cui lui ha concordato dicendo di farli contattare dall’ingegner Perocchio”.

Evitare arresti tempestivi

Tadini ha poi aggiunto che l’obiettivo non era quello di far funzionare l’impianto comunque, quanto di “evitare arresti intempestivi lungo la linea”. Questi avrebbero costretto gli addetti a trasferire i passeggeri dalla cabina a un cestello di soccorso per poterli riportare in stazione. Ma non era la prima volta che si verificavano certe anomalie, addirittura, in seguito alla chiusura dovuta al periodo di Covid, iniziato a ottobre 2020, avvenivano praticamente tutti i giorni. “Il sistema continuava ad entrare in pressione (…) ripetutamente e questo poteva causare problemi alle batterie scaricandole e deteriorandole, tanto è vero che le avevo già sostituite una volta durante l’inverno” ha precisato Tadini che parlò con il titolare delle Ferrovie Nerini, il quale lo rimandò a Perocchio che mandò i tecnici, l’ultima volta il 3 maggio, senza che riuscissero però a trovare una soluzione.

In un primo momento, Tadini aveva dichiarato: “Negli ultimi giorni il problema era diventato però molto frequente e in attesa dell’intervento dei tecnici ho deciso di inserire i cosiddetti forchettoni”, salvo poi affermare di averlo fatto anche il giorno prima dell’incidente, aggiungendo “più volte in questo ultimo mese”. A installare i forchettoni ci pensavano solitamente 3 o 4 operai della sua squadra. “Ne ho parlato con Perocchio al quale ho detto che per poter mantenere in funzione l’impianto regolarmente sarei stato costretto a usare tale accorgimento. Bisognava fare così per far funzionare l’impianto. Questa era la volontà della società, perché di fatto né l’ingegner Perocchio né Nerini, pur sapendo dei problemi e pur avendone le competenze e i poteri, non hanno mai ritenuto di bloccare l’impianto” ha dichiarato infine Tadini.

La testimonianze degli operai

In una delle testimonianze rilasciate da un operaio dell'impianto della funivia del Mottarone, si legge che"è stato Tadini a ordinare di mettere i ceppi" che evitano che l'impianto frenante entri in azione. tutte le testimonianze dei dipendenti sono presenti nell'ordinanza con cui il gip di Verbania, Donatella Banci Buonamici, ha deciso i domiciliari per il capo servizio Gabriele Tadini e la libertà, seppur restino comunque indagati, per il gestore della struttura Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio, tirati in ballo dalla confessione ultima di Tadini.

"L'installazione di questi ceppi è avvenuta già dall'inizio della stagione di quest'anno, esattamente il 26 aprile. Vi era infatti un problema all'impianto frenante della cabina numero 3, per cui era stato richiesto l'intervento di una ditta specializzata, che però non aveva risolto il problema", dice a verbale uno degli operai della funivia che si trovava al lavoro proprio la mattina del disastro. "Tadini ha ordinato di far funzionare l'impianto con i ceppi inseriti anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie (...). La cabina numero 3 era solita circolare con i ceppi inseriti già da parecchio tempo, per evitare l'inserimento del freno d'emergenza durante la corsa e impedire così il funzionamento dell'intero impianto", secondo quanto confermato da altri quattro operai ascoltati dai carabinieri. Sempre a verbale, si legge che un dipendente aveva chiesto a Tadini se non fosse rischioso lasciare inseriti i forchettoni che impediscono di frenare in caso di emergenza. La risposta era stata: "Prima che si rompa una traente o una testa fusa ce ne vuole. Ricordo bene queste parole, a queste parole non ho replicato anche perché è lui il mio responsabile".

"Tadini non mi ha mai riferito di sentire un rumore relativo alla perdita della pressione del sistema frenante della cabina". Lo afferma, sentito dai carabinieri, un tecnico della Rvs, società che si occupa (in subappalto) della manutenzione della funivia del Mottarone. L'uomo ha confermato che gli interventi avvenivano su richiesta del direttore di esercizio Enrico Perocchio e che nell'ultimo intervento del 3 maggio scorso Tadini ha taciuto su quei rumori che invece confesserà ai magistrati di aver sentito anche il giorno del disastro.

Proprio questo non si spiega a Tadini

Per i pubblici ministeri l’obiettivo era quello di non perdere incassi in una domenica assolata di fine maggio. Probabilmente però, oltre ai soldi, la non voglia di scomodarsi, il rimandare ad altri momenti i problemi, lo scaricare le responsabilità a terzi per la mancanza di voglia di occuparsene. E la scommessa con il destino e le probabilità praticamente inesistenti che potesse spaccarsi la fune traente. E proprio la sua rottura rimane incomprensibile a Tadini che continua a ripetere che “mai e poi mai avrei pensato che avrebbe potuto spezzarsi, non me lo spiego, è un qualcosa che non doveva accadere. Secondo gli ultimi controlli (novembre 2020, ndr) era in perfette condizioni e non ha mai avuto problemi lungo la linea”. E invece è accaduto, togliendo la vita a14 persone e lasciando l’unico superstite, un bambino di soli 5 anni, senza i suoi genitori e il fratellino. Tadini non è più tornato in funivia “per evitare che si pensasse a un mio intervento di alterazione”.

La decisione dei domiciliari

Come detto in precedenza, Tadini ha lasciato sabato il carcere di Verbania andando ai domiciliari per il pericolo di reiterazione del reato, dato che "per lungo tempo" disattivando il sistema frenante di emergenza sulla cabina numero 3, ha attuato una "condotta scellerata, della quale aveva piana consapevolezza, posta in essere in totale spregio della vita umana con una leggerezza sconcertante". Questo è quanto scritto dal gip di Verbania nell'ordinanza con cui ieri sera ha deciso di non convalidare il fermo per i tre indagati accusati di omicidio plurimo per il disastro della funivia del Mottarone.

Per il giudice, che ha smantellato l'impianto accusatorio fondato sulle dichiarazioni del capo servizio, il modo di agire di Tadini induce a ritenere che "non abbia la capacità di comprendere la gravità delle proprie condotte e che, trovandosi in analoghe situazioni reiteri con la stessa leggerezza altre condotte talmente pregiudizievoli per la comunità" , come si legge nel provvedimento di 23 pagine. Gli arresti domiciliari sono stati concessi perché incensurato, per la confessione resa e per il contesto familiare in cui vive.

Gip: "Da pm non elementi pericolo fuga"

Il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici ha scritto nell'ordinanza con cui ha disposto i domiciliari per Gabriele Tadini e nessuna misura per Luigi Nerini ed Enrico Perocchio accusati di omicidio colposo:"Sono gli stessi pm che hanno operato il fermo a non indicare alcun elemento dal quale sia possibile evincere il pericolo di allontanamento dei tre indagati". Secondo il giudice, "suggestivo ma assolutamente non conferente è il riferimento al clamore mediatico nazionale e internazionale dato alla vicenda: è di palese evidenza la totale irrilevanza, al fine di affermare il pericolo di fuga".

L'attenzione della stampa "non può certo farsi ricadere sulla persona dell'indagato". Il pericolo di fuga non sussiste per il capo servizio Tadini che ha reso"ampia confessione" dicendo di aver disattivato il sistema frenante che se in funzione avrebbe impedito alla cabina di precipitare. Inoltre, "totalmente inesistente" l'ipotesi per l'ingegnere Perocchio che chiede subito di essere sentito e raggiunge con la sua auto la caserma dei carabinieri di Stresa.

Allo stesso modo, "è pacifico" che non volesse scappare il gestore della funivia Nerini che subito dopo la tragedia "si è messo a disposizione delle forze dell'ordine rendendo ogni chiarimento".

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