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Ma troppo galateo ammazza la libertà di parola

Censurare significa nascondere i problemi come la polvere sotto il tappeto

Ma troppo galateo ammazza  la libertà di parola

Il tribunale della Santa Sede il mese scorso ha dichiarato (sentenza del processo Vatileaks) che la libertà di espressione è «garantita dal Diritto Divino»; in compenso il tribunale del popolo che ogni giorno si riunisce sui social network ieri ha decretato che la libertà di espressione è abolita: il giornalista che liberamente riporta ciò che ha visto va prima lapidato e poi, se sopravvive, licenziato. Il direttore di QS, Quotidiano Sportivo, è stato seppellito di insulti internettiani per avere definito in un titolo «trio delle cicciottelle», tre olimpiche italiane di tiro con l'arco. Sebbene si sia prodotto in umilianti scuse è stato subito rimosso, con piglio da padrone delle ferriere, dall'editore Andrea Riffeser Monti, rimasto impassibile quando sulla prima pagina dei suoi quotidiani era apparsa la notizia, poi smentita, di Papa Francesco malato di tumore al cervello. Forse perché in quell'occasione i branchi dei social non si erano scatenati alla caccia del capro espiatorio. Forse perché di un Papa si può dire ciò che si vuole, anche il falso, mentre di una donna appena un po' nota non si può più dire la verità: Guendalina Sartori, una delle tre arciere, i rotoli ce li ha eccome, e nemmeno le altre due sembrano molto magre. È una colpa la ciccia? No di sicuro, io per esempio vorrei rivalutare l'antico detto «grassezza fa bellezza», e comunque «cicciottella» è un vezzeggiativo (per chi conosce la lingua italiana). Eppure il presidente della federazione arcieri ha giudicato il titolo «di cattivo gusto e irriguardoso». Ma non si può ridurre il giornalismo a galateo altrimenti serve meno di tre olimpioniche arrivate quarte alle Olimpiadi: il giornalismo dev'essere vivace e all'occorrenza mordace, e siccome il peso di un atleta qualche influsso sul suo rendimento potrebbe perfino avercelo è legittimo che il tema venga posto. Per poi magari arrivare alla conclusione che i rotoli aiutano a centrare meglio il bersaglio, chissà. Ma censurare significa nascondere i problemi come la polvere sotto il tappeto, e così i problemi rimangono e il quarto posto rimane. Quindi ha ragione Clint Eastwood che ha dichiarato di votare Trump, nonostante egli sia più di cattivo gusto di qualsiasi titolo giornalistico, per battere «la generazione pussy, le timorose fighette: questo non si può dire, questo non si può fare, tutto è proibito».

In questo mondo di permalosi subito pronti a linciare, protetti dal numero, chi pronuncia una parola di troppo, c'è urgente bisogno di qualcuno che abbia il coraggio di dire pane al pane e ciccia alla ciccia.

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