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Viaggio a Berlino Est, città container dove si accalcano i migranti

A preoccupare il personale del campo è anche la crescita dell'estrema destra nel quartiere, fortemente rappresentata nel parlamento locale

Viaggio a Berlino Est, città container dove si accalcano i migranti

Marzahn, estrema periferia di Berlino Est. Tra il grigio dei palazzoni di calcestruzzo in stile sovietico si distinguono una serie di costruzioni colorate. Un blocco di grossi container disposti a ferro di cavallo, con al cen da calcio e un parco giochi, e circondati da una fitta rete di filo spinato.

Al suo interno ci vivono 400 immigrati che aspettano che lo Stato tedesco faccia sapere loro quale sarà il loro futuro. "Per favore stia attento a non provocare le guardie, potrebbero essere molto suscettibili. Mi capisca, ultimamente ci sono state diverse tensioni e l'atmosfera potrebbe surriscaldarsi facilmente". A chiederlo è Susan Hermenau, responsabile di tutti i paesi-container della città.

Non solo Marzahn,infatti, ma tutta Berlino è costellata di questi blocchi, costruiti in grande fretta nel corso dell'ultimo anno per ospitare i milioni di migrati giunti in terra tedesca. Solo nella capitale sono oltre 100 e quotidianamente ne vengono aperti di nuovi. Quante siano le persone che vivono al loro interno, però, è difficile dirlo.

Abbiamo perso il conto dei numeri ufficiali spiega Hermenau. "In media abbiamo 500 nuovi arrivi ogni giorno e non riusciamo a registrarli tutti". Una situazione, questa, in cui le tensioni non mancano. "Da un anno a queta parte le proteste sono state all'ordine del giorno in tutti i quartieri" continua Hermenau. "Iniziative di cittadini, attacchi dell'estrema destra, manifestazione e presidi, violenze tra immigrati e tedeschi. In molti casi abbiamo dovuto assumere delle guardie che controllino i centri 24 ore su 24".

Nella città-container di Marzahn, però, la situazione è apparentemente tranquilla. Le guardie camminano lentamente di fianco alla rete di filo spinato, mentre all'interno del campo gli abitanti, cucinano, giocano a carte o a calcio, lavano i panni o guardano il cellulare. Tutto è ordinato, pulito e silenzioso. "La vita qui è bella" A raccontarlo e Akif, ragazzo afghano di 31 anni che dallo scorso gennaio vive n un container. "Il personale serve da mangiare tre volte al giorno, noi poi siamo liberi di fare ciò che vogliamo. Possiamo muoverci liberamente sia all'interno che all'esterno del campo, purchè rientriamo alle 11 di sera, quando scatta il coprifuoco".

La storia di Akif è simile a quella di molti suoi coinquilini. Partito dall'Afghanistan, ha preso un aereo per la Libia, dove è salito su un barcone ed è salpato per la Sicilia. Accolto dalla Guardia Costiera, ha vissuto un anno in Italia, per poi prendere un treno e raggiungere la sua meta finale: la Germania, dove gli era stato detto che avrebbe trovato immediatamente lavoro. Lo stesso aveva sentito dire Mohamed, partito dalla Siria per poi salpare anche lui dalle coste libiche. E anche Christian, libanese anche lui passato per Libia e Italia.

"Da quando non c'è più Geddaffi ci dicono tutti la stessa cosa. Andate in Libia, da lì è molto semplice arrivare in Italia e poi in Germania". Pakistani, afghani, eritrei, somali, libanesi, siriani. Tutti convinti a lasciare la terra di origine per un eldorado chiamato Germania. Ma che non è com era stato loro raccontato.

"È quasi un anno che tutte le mattine vado in giro per ogni negozio della città e chiedo di prendermi a lavorare. E la risposta è sempre la stessa: no, non sai il tedesco". A raccontarlo è Akif e lo stesso vale per gli altri. Nessuno lavora, qualcuno cerca (inutilmente) e gli altri aspettano che le autorità tedesche facciano qualcosa, vivendo in un container a spese dello Stato.

Secondo il Ministero per le Migrazioni le difficoltà non si fermeranno. I dati da loro raccolti mostrao come meno del 10% dei nuovi arrivati abbia le competenze necessarie per inserirsi nel mercato tedesco. Il limite più grande è la mancata conoscenza della lingua. "Non è facile insegnare loro il tedesco" - spiega la responsabile - "la nostra speranza sono i bambini, che imparano più in fretta". Bambini, appunto. Nella città container ne vivono circa 90. Che tutte le mattine vanno nella vicina scuola di quartiere dove, in classi separate dai tedeschi, viene loro insegnato il tedesco per un anno.

Dopo si tenterà di inserirli nelle classi regolari. Ognuno di loro sogna un futuro radioso. "Io voglio diventare un attaccante del Bayern Monaco" dice un piccolo libanese. "Io andrò in Spagna a giocare con Cristiano Ronaldo" continua un siriano. "Io vorrei fare la ballerina" è il desiderio di una bambina afghana. Anche questi bambini, in molti casi, hanno attraversato il mediterraneo su un barcone, rischiando spesso la vita e vedendo morire le persone al proprio fianco, come successo ad Ahmed, otto anni, siriano.

"Siamo dovuti scappare dalla guerra" mi racconta. "La mia famiglia ha preso un furgone fino alla Libia, da dove siamo partiti con la barca per l'Italia. Eravano in 200 persone su una barchetta, che in mezzo al mare si è rovesciata. Guarda qua che roba" mi dice allungandomi il suo cellulare, con il quale ha filmato il momento in cui viene salvato dalla Guardia Costiera. Oggi Ahmed va nella scuola di quartiere e i maestri dicone essere tra gli studenti più in gamba. In pochi mesi il suo tedesco è diventato ottimo, con un lieve accento berlinese.

Non per tutti, però, vale lo stesso. "I problemi più grossi li abbiamo con gli adolescenti" spiega un membro del personale del campo. "A scuola difficilmente vanno d'accordo con i coetanei tedeschi, apprendono più lentamente dei piccoli e non sanno cosa aspettarsi dalla vita". Nei container, infatti, il futuro è incerto per tutti. "Attendiamo delle direttive dal governo, che però non stanno arrivando perchè l'emegenza ha ragiunto numeri enormi" spiega la responsabile. "Non potrà andare avanti così per sempre. Queste persone sono qui e non possono essere rimpatriate e al contempo non hanno un lavoro. E l'integrazione con la gente del quartiere è difficile". Nessun inquilino, infatti, dice di avere amici tedeschi.

Anche chi vive lì da oltre un anno non ha mai avuto a che fare con i berlinesi. Che, da parte loro, si lamentano della situazione. "Riceviamo proteste continue" spiega la responsabile. "Marzahn è un quartiere difficile e povero, che prima d'ora non aveva mai subito l'immigrazione. La disoccupazione è alta, gli stipendi bassi, i contratti a tempo indetermnato una rarità. In molti rimpiangono la vecchia Germania dell'Est e l'estrema destra ha gioco facile".

Parlando con gli abitanti del quartiere, in effetti, le opinioni sono negative ed è forte il senso di abbandono. "Qui da noi la riunificzione della Germania non è mai avvenuta" dicono tutti mischiando il tedesco al dialetto locale. "Il muro esiste ancora nlle nostre teste. in questo quartiere non c'è futuro, lavoro o speranza, le istituzioni ci hanno abbandonato e l'unica cosa che fanno è riempirci di immigrati. Siao cittadini di serie B".

A preoccupare il personale del campo è anche la crescita dell'estrema destra nel quartiere. Essa, infatti, è fortemente rappresentata nel parlamento locale e ha organizzato molte manifestazioni anti-container alle quali hanno partecipato anche centinaia di comuni cittadini della zona. "Nel quartiere vivono molti neonazisti" spiega Hermenau "sono parte integrante del tessuto sociale. Alcuni di loro gestiscono bare e punti di ritrovo proprio accanto ai container e non è un raro che siano scoppiate risse tra immigrati e tedeschi o vi siano state vere e proprie aggressione.

L'ultima è avvenuta la scorsa settimana, quando cinque persone hanno lanciato altrettante molotov contro i container. Senza fortunatamente causare vittime o feriti. "A Marzahn non c'è futuro" dicono tutti gli abitanti tedeschi della zona. "non sappiamo cosa aspettarci" dicono gli immigrati da entro i container. La paura e l'incertezza verso il futuro accomuna le due parti. E in molti sono pessimisti.

Tranne i bambini, che continuano a sognare di potere un giorno diventare dei nuovi Cristiano Ronaldo.

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