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Weimar, Ali Agca e i gesti dei pazzi che fanno Storia

Il Male non ha più ideologie dietro cui nascondersi: ad armare i "lupi solitari" è la voglia disperata di essere qualcuno

Weimar, Ali Agca e i gesti dei pazzi che fanno Storia

Le Idi di Marzo, si sa, furono una congiura e Cesare non cadde sotto i colpi di pugnale di un pazzo o di un lupo solitario. Nei tempi antichi, quando il potere si identificava con la (...)

(...) persona, il mezzo ritenuto più efficace per operare il ricambio e/o il ribaltone, consisteva nel sopprimere il soggetto-oggetto del desiderio. Veleni e pugnali accompagnano il mondo classico e la sua fine, fanno da complici al nuovo che avanza e che ne prende il posto: fra Medio Evo e Rinascimento la congiura ha una sua grandezza, persino letteraria.

È a partire dal XIX secolo che le cose cambiano: sarà perché il potere sa difendersi meglio e sempre meno si mischia con la gente comune, sarà perché le armi per abbatterlo si sono fatte nel tempo più sofisticate, sarà perché si continua a ragionare all'antica senza accorgersi che intanto il mondo è cambiato: il «tiranno» non abita più lì, nel corpo chiamato a rappresentarlo, ma si continua a ragionare come se non se ne fosse mai andato. Nell'epoca che si apre alla modernità di massa, l'anarchismo delle bombe e dei colpi di pistola celebra il trionfo del singolo individuo che si erge contro il corso della storia: la congiura cede il passo al gesto esemplare e il gesto esemplare si carica di per se stesso di un disegno politico nel momento stesso in cui di fatto lo annulla. È la celebrazione del caos da un lato, la rivincita dell'Unico dall'altro, il «quarto d'ora di celebrità» di cui tutti possiamo godere, come in una fase di quel ciclo si troverà a constatare Andy Warhol mentre i colpi di pistola di un'attivista femminista cercano di spedirlo all'altro mondo.

Da Gavrilo Princip che a Sarajevo fa da innesco involontario alla Prima guerra mondiale, a Walter Rathenau che nella Germania di Weimar viene falciato proprio perché di quella Germania sconfitta potrebbe essere il salvatore, a teste coronate italiane e russe che nel frattempo sono state sacrificate sull'altare che invoca la «morte al tiranno», la scia di sangue è lunga, ma sempre più si fa fatica a coglierne le coordinate, comprenderne una sia pure irrazionale razionalità. Nella seconda metà del Novecento, la congiura ha ormai ceduto il passo al complotto e/o alla cospirazione: il legame diretto, ovvero la motivazione nascosta, con il gesto distruttore ed esemplare è sempre meno visibile, e quindi lascia sempre più spazio a ipotesi e congetture: quello che resta sul terreno è la vittima e il suo carnefice, ma il perché del secondo si annulla e si comprende nel gesto in sé. Di ciò che potrebbe succedere, a quest'ultimo non importa nulla, è come se non lo riguardasse. Dall'assassinio di John e Robert Kennedy, al tentato assassinio di Ronald Reagan e di Giovanni Paolo II quello che rimane certo, e nemmeno sempre, è il nome di chi li compì, ciò che si perde nei meandri dei processi, delle condanne e delle commissioni d'inchiesta, è il senso.

Il «gesto esemplare», dunque, è quanto oggi ci resta in eredità, mutato però di segno rispetto al passato, in una curiosa logica che quasi sa di contrappasso. Si sceglie la vittima non tanto per quello che rappresenta in sé, ma per ciò che quella scelta riverbera su chi la compie. Il fan squilibrato che spara a John Lennon o a Gianni Versace, non lo fa nella logica di spegnere una vita altrui, quanto in quella di illuminare la vita propria: uccido dunque sono è la logica cartesiana che c'è dietro.

Sempre più condannati a essere monadi indistinte in una società di massa che moltiplica all'infinito gli elementi di connessione, ma di fatto ci sconnette con la realtà della vita, la famiglia, il lavoro, i legami interpersonali, l'appartenenza a una classe sociale, ci inoltriamo verso modelli sociali dove al potere impalpabile, politico, economico, finanziario, fanno da contraltare individualità turbate. Se un tempo si poteva cogliere un rapporto di causa-effetto, adesso si fa strada la convinzione che la causa si annulla nell'effetto, ha valore soltanto nella sua attuazione. La strage norvegese di Utoya, è il suo ideatore ed esecutore: essere nessuno, voler disperatamente essere qualcuno.

Interrogarsi sul cui prodest, sull'«a chi giova», diventa un interrogativo senza senso. Verificarne i ricaschi sulla contemporaneità, rischia di apparire un esercizio retorico. Ci accorgiamo che il Male non ha nemmeno più ideologie dietro cui nascondersi, e nemmeno nobili ideali con cui travestirsi.

È soltanto il Diavolo, probabilmente.

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