Cultura e Spettacoli

L'America d'oro degli anni '50 e '60 immortalata dall'obiettivo di Elliott Erwitt

Il fotografo nato a Parigi immortalò la ricca America del dopoguerra, tra boom economico, conformismo e l'ascesa di Kennedy. Oggi una mostra al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano permette di riscoprire i cento scatti più famosi dell'artista

L'America d'oro degli anni '50 e '60 immortalata dall'obiettivo di Elliott Erwitt

Bambini, cani, piedi, baci, angoli di strada. Negli scatti e negli occhi di Elliott Erwitt, il "fotografo della commedia", vivono quasi cent’anni di vita e di fotografie. Ma anche stelle del cinema e presidenti americani. Soprattutto Jfk, per il quale ha mostrato una certa penchant. Con ironia cristallizzata nelle frazioni di secondo di uno scatto, Erwitt è uno di quelli che ha raccontato a meraviglia l’America, soprattutto quella del passaggio tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, assieme alla sua amata Leica M3. Fino al 16 ottobre è possibile riscoprire i 100 scatti più famosi di Erwitt in una mostra al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano (aperta al pubblico da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00) realizzata in collaborazione con SudEst57 e Clp, col patrocinio del Comune di Milano e Crédit Agricole come sponsor.

Quella di Erwitt è una storia tipicamente americana: una storia d’immigrazione. Nato a Parigi nel 1928 da genitori ebrei di origini russe, passa la sua infanzia a Milano, fino a quando, nel 1939, si trasferì negli Stati Uniti con la famiglia per fuggire dalle leggi fasciste. Trascorse la sua adolescenza ad Hollywood, per poi trasferirsi a New York alla fine degli anni Quaranta. Ma è la fine degli anni Cinquanta a segnare la sua carriera: nel 1953 entra a far parte dell’agenzia Magnum e contemporaneamente inizia a collaborare con riviste del calibro di Life.

Erwitt e gli anni Cinquanta

L’America degli anni Cinquanta sorrideva al boom e alle beatitudini del Dopoguerra, sebbene intrise di conformismo e consumismo dalle linee bianche. Nei fatti, la Guerra Fredda aveva un forte contenuto economico. La libertà americana andava unificandosi al concetto di “libera impresa”: quest’ultima andò sostituendo la “libertà dal bisogno” rooseveltiana che rimase confinata al tempo di guerra. Il boom di nascite del periodo postbellico alimentava la domanda di case, apparecchi televisivi, elettrodomestici e automobili. La proliferazione delle vetture fece balzare le industrie automobilistiche e le compagnie petrolifere in testa alla scala delle corporation americane. Sulla strada gli americani erano liberi, versioni moderne dei pionieri dell’Ovest. L’affermarsi della periferia suburbana come sede privilegiata della libertà mise sotto pressione la famiglia, e in particolare modo le donne, affinché ne fossero sempre all’altezza. I sobborghi, reame del conformismo americano, mantenevano rigidi confini razziali. La critica a questa strana affluent society diventò il secondo lavoro degli intellettuali. Tutto questo non sfuggiva all’obiettivo di Erwitt che, per ridicolizzare il famigerato Jim Crow system del Sud ritrasse i due celebri lavandini - uno per i bianchi uno per i neri - collegati, tuttavia, dallo stesso tubo dell’acqua. Segregated Water Fountains venne scattata nel 1950 nella Carolina del Nord per denunciare e irridere allo stesso tempo la segregazione nei luoghi pubblici.

Ma fu a Mosca che Erwitt portò a casa uno dei ritratti più iconici dell’intera Guerra Fredda mentre era lì per fotografare frigoriferi per Westinghouse. Si trattò del famoso “dibattito della cucina” tra il vicepresidente Richard Nixon e il premier sovietico Nikita Kruscev alla American National Exhibition del 1959: Nixon colse l’occasione per fregiarsi dei “suoi” 56 milioni automobili e dei 50 milioni di televisori, frutto di una prosperità diffusa e senza classi. Tuttavia l’atteggiamento americano passò per il trionfo del materialismo più che dell’idealismo, messo immediatamente alla gogna dalla graffiante ironia di Kruscev che mandò al diavolo Nixon e il suo ditino puntato contro.

Elliott Erwitt

Il decennio si chiuse con nascosti nei rullini una plruralità di icone: da Marilyn Monroe che sorride voluttuosa, ancora prima di diventare il giocattolo sessuale dei Kennedy, all’immagine della madre del grande Robert Capa – morto su una mina in Indocina- che piange sulla tomba del figlio, lacerata dal dolore. Non poteva immagianare quanto sangue sarebbe stato ancora fotografato lì, così ad est.

Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta un senso di conformità sembrava aver invaso la società americana. New York sostituì Parigi come capitale mondiale dell'arte moderna ormai conosciuta come american art. L'espressionismo astratto e il suo massimo esponente Jackson Pollock si concentrarono sull’espressione personale e sull’alienazione sociale. Fu comunque soprattutto la letteratura del periodo a sviluppare pienamente il tema dell'individuo contro il sistema. I temi dell'individualismo contro il conformismo avevano radice nell’esistenzialismo. Personaggi molto diversi fra loro come un Humphrey Bogart, Jackson Pollock, James Dean, Albert Camus tentavano di capire il caos di un mondo quasi distrutto dalla guerra. Gli scrittori della beat generation idolatravano gli afroamericani, il jazz e denunciavano il materialismo, la repressione sessuale, il vuoto esistenziale della classe media americana. Elvis Presley, nel frattempo, combinava il blues con le liriche della musica country bianca. Gioventu bruciata era ormai il mito di una generazione.

I Sessanta e Kennedy nell'obiettivo di Erwitt

Lasciati indietro gli anni Cinquanta, Erwitt sgrana i Sessanta con occhio curioso e ironia tagliente. Il suo obiettivo, tuttavia, non può sottrarsi al magnetismo di Jfk, l’incumbent affascinante, il rampollo della famiglia Kennedy che rischia di diventare presidente. È proprio lui ad immortalarlo fresco e pensoso alla convention democratica del 1960. I repubblicani scelsero Richard Nixon, vicepresidente di Eisenhower, come candidato alla presidenza e nominarono Henry Cabot Lodge, Jr., ex senatore del Massachusetts e ambasciatore alle Nazioni Unite, come suo compagno di corsa. Il senatore John F. Kennedy del Massachusetts emerse da un affollato campo democratico per vincere la nomination del suo partito.

L’8 novembre di quell’anno l’America lo scelse, preferendolo - con un risultato di misura - a Richard Nixon. La macchina comunicativa di Kennedy non conobbe sosta: il presidente che non doveva esserlo affabulò il mondo intero con la New Frontier e la promessa della luna. Tuttavia, senza un chiaro mandato elettorale e una coalizione conservatrice di Democratici del Sud e Repubblicani al controllo del Congresso, Kennedy non fu mai in grado di ottenere l'approvazione di parti importanti del suo programma interno. Alcuni progetti riuscirono. L’Housing Act (1961), ad esempio, fornì 5 miliardi di dollari per il rinnovamento urbano e la costruzione di nuove abitazioni. Il Minimum Wage Act (1961) aumentò il salario minimo a $ 1,25 l'ora e il numero di lavoratori ammissibili al salario minimo. Inoltre, il Social Security Act venne modificato per fornire vantaggi a coloro che erano andati in pensione. Sui diritti civili, mille giorni di turbolenta presidenza sotto scacco poterono poco.

Fu Cuba a fornire all'amministrazione Kennedy sia il suo più grande fallimento in politica estera che il suo più grande successo: alla Baia dei Porci prima e nei famosi thirteen days del 1962, dopo. Anche il simbolo della nuova era cubana, Ernesto “Che” Guevara finirà negli scatti di Erwitt che lo ritrarrà nell’iconica posa spavalda e maliziosa, mentre ammicca all’obiettivo, con in bocca l’inseparabile sigaro. Era il 1964. E i sigari cubani furono galeotti proprio in uno scatto allo stesso Jfk, “furtivamente” colto mentre fumava un sigaro cubano, un H. Uppmann, i suoi preferiti.

Di quell’era e di quell’icona che o si ama o si odia, Erwitt ritrarrà anche l’ultimo viaggio: toccò a lui immortalare Jackie Kennedy al funerale del marito John, bellissima, elegante e lacerata dal dolore, il volto impietrito sotto la veletta nera, il 25 novembre del 1963. Nel mezzo, un ventaglio di storie americane comuni e umanissime: madri sull’orlo della disperazione, baci appassionati, elettrodomestici, matrimoni nudisti.

La vita, insomma.

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