Cultura e Spettacoli

Il gol più sporco del mondo che ha ripulito una carriera

Messico ’86. Il portiere inglese Shilton subisce due incredibili reti da Maradona. Entra nel mito da eroe perdente, facendo dimenticare le altre sue virtù (e i vizi)

Il gol più sporco del mondo che ha ripulito una carriera

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo uno stralcio di La mano di Dio e quella dell'uomo di Giuseppe De Bellis, tratto da «Atlante dei mondiali» (Isbn). Ventidue autori raccontano 20 coppe del mondo. Tra gli autori, Massimo Coppola, Giancarlo De Cataldo, Gigi Riva, John Foot, Mario Desiati, Francesco Pacifico, Tim Small e tanti altri.

A Leicester la squadra era fortissima. Peter (Shilton, ndr) c'era, giocava, e dopo qualche anno cominciò anche a essere convocato in Nazionale. Non era titolare, si alternava con Ray Clemence del Liverpool, preferito dal ct inglese Don Revie. «Non gli stavo molto simpatico» avrebbe detto tempo dopo Shilton, dimenticando la verità, dimenticando la realtà. Perché fu titolare nella partita sbagliata, e in quella partita a sbagliare fu proprio lui. Allora, Peter, come la mettiamo? È questo l'incubo. Peter si tuffa, ma non ci arriva. Dov'è passato il pallone? Dove? Dove? Dove? Sotto le tue braccia, amico. Guardalo. È lì. Era la qualificazione ai Mondiali del 1974, a Wembley, nel ritorno contro la Polonia. L'Inghilterra alla Coppa del Mondo non aveva mai partecipato fino al 1950, per senso di superiorità: Noi che siamo gli inventori del calcio non ci confrontiamo con gli altri, non ci mescoliamo.

Poi però aveva accettato l'invito in Brasile, e da lì in avanti c'era sempre stata, con mediocri risultati all'inizio e poi con la vittoria in casa nel '66. Quattro anni dopo si era fermata ai quarti, risultato sufficiente per non dichiarare Messico '70 un fallimento. In vista, allora, c'era la partecipazione al Mondiale in Germania: contro la Polonia, il 17 ottobre 1973, gli inglesi dovevano vincere. «Mai vista una partita così impari» scrissero le cronache dell'epoca, raccontando un match che leggendo quegli articoli pareva essere stata una vittoria senza storie dell'Inghilterra, e che però in realtà fu un pareggio (1-1). Per colpa di Shilton. Dov'è la palla? È dietro di te, Peter. Ti è passata sotto la pancia e le braccia, sei andato giù come una sagoma da poligono e ti è sfilata sotto. O-h, m-y, G-o-d. Per la prima volta nella storia, gli inventori del calcio non si qualificarono al Mondiale, per inferiorità. È la leggenda dark della parata perfetta, the perfect save, come disse lo stesso Shilton nel tentativo – goffo come il suo tuffo – di giustificare l'errore: «Ho voluto provare la parata perfetta, senza pensare che bastava deviarla in un modo qualunque». L'ironia su quella parata perfetta l'avrebbe accompagnato per anni. È stata la sua dannazione, la sua maledizione, il suo imbarazzo. È inutile che ci provi, Peter: gli incubi non si possono parare.

Diego l'ha salvato. Il 22 giugno 1986 è stato il giorno del paradossale riscatto di Shilton. Maradona gli ha restituito la rispettabilità che il calcio spesso non concede. Perché dopo l'errore del 1973, Peter non aveva sbagliato più, ma a restargli appiccicata addosso fu la sensazione di non essere mai stato perdonato. Diventato titolare fisso e capitano della Nazionale, campione d'Inghilterra e d'Europa con il Nottingham Forest di Brian Clough, onorato finché in ogni giornata chiave, in ogni possibile trionfo, in ciascuna intervista non rispuntavano quella parata perfetta e il beffardo gioco di significati che quelle due parole contenevano.

Vieni Diego, allora. Vieni all'Azteca, a mezzogiorno di quel giorno di metà anni ottanta. Vieni con la palla che arriva dall'alto con una traiettoria strana. È mia, con il pugno chiuso, al centro dell'area, come ho imparato a fare in un sacco di allenamenti. Quell'uscita al 51º minuto doveva essere la più facile. Quasi a regalargli il premio per anni di sacrifici. «Il mio punto debole erano le uscite con i pugni, fino a quando ho capito come fare, e cioè che dovevo andare sulla palla come un pugile, non con il braccio già teso, ma caricando il colpo a mezz'aria e colpendo la palla con un cazzotto». Sin dai tempi del Leicester e dello Stoke, e poi ancora del Nottingham Forest, Shilton si allenava con un sacco da pugile. La palla che piomba dal cielo verso il centro dell'area è sua, dev'essere sua. Peter fa esattamente ciò che aveva provato ogni giorno: salta, carica il pugno in aria, e quando vede il pallone alla sua portata, va a colpirlo con un cazzottone. Non prende niente. Dov'è passata la palla? Dove? Dove? Dove? Atterra sul campo, si gira, e guarda: è rotolata dentro. Ha visto qualcosa là in aria: il pugno di Maradona sopra la sua testa, sollevato abbastanza in alto da vedersi ovunque, allo stadio e in tv. L'arbitro tunisino Bennaceur indica il centrocampo. Ma come? Non l'ha visto? È l'unico sul pianeta a non averlo visto. Peter si batte un pugno sul braccio: mano, mano, mano! Non lo sa ancora, Shilton, che l'oscenità e la grandezza di Maradona saranno il lasciapassare per la sua eternità, il salvacondotto in grado di cancellare ciò che non avrebbe funzionato fuori dal campo. La via d'uscita che gli serviva.

Peter era uno da pub, luccichii, soldi. Ne aveva tanti, ne ha buttati troppi. Maledetti ippodromi. Maledetti quei personaggi da sigaro in bocca che trovi davanti al banco delle giocate: vincente o piazzato? Non capiva più nulla. Qualche calciatore ha provato a fare il salto di qualità con i cavalli: ha cercato di intrufolarsi nella vita cappello-e-bombetta di Ascot per levarsi di dosso l'etichetta di personaggio buzzurro e popolare. Shilton scelse un'altra strada, più adrenalinica, più inquietante, da sottoscala, da ombre, da soldi che girano e puzzano ogni giorno di più. Puntare, puntare, puntare. Fare il portiere a un certo punto diventò il mezzo per avere uno stipendio. Tanti soldi per le sue scommesse.

Quel giorno del 1986, all'Estadio Azteca, Shilton perse con un'ignominia solo momentanea, perché da quel momento in poi accadde qualcosa di nuovo: sbagliava fuori dal campo, ma il paese capiva. Non si toccano quelli che ti difendono, e Shilton era stato la difesa attaccata all'improvviso da un nemico vigliacco. L'oblio con cui l'Inghilterra ha coperto le sue mancanze e il gol più bello del secolo (la successiva, memorabile rete di Maradona al 55º, ndr) è diventata la sua forza mediatica. Era l'inizio della generazione dei videogiochi, quella. E comparve Peter Shilton's Handball Maradona, uno dei primi videogame di calcio. C'era per Commodore 64, per Commodore 128 e ci sarebbe stata un'evoluzione anche per l'Amiga. Portava il suo nome, accanto a quello di Diego. Portava il segno della furbizia, della vergogna, dell'ingiustizia, il condensato di ciò che il calcio è stato e sarà. Per un'intera stagione quel gioco fece tenere a mente un portiere che altrimenti non sarebbe stato ricordato. Uno che con i Mondiali avrebbe chiuso a quarantun anni, conquistando il record di presenze della storia della Nazionale inglese: 125, rimaste ancora oggi insuperate. L'ultima partita la giocò a Bari, nel 1990. Finale per il terzo posto del Mondiale italiano, contro di noi. E contro di noi prese anche l'ultimo gol della sua vita in Nazionale: lo segnò Schillaci su rigore. Bello e inutile, sia per l'Italia, sia per lui.
Shilton giocò ancora, prima di giocarsi tutto il resto altrove. Mai dimenticato e mai più insultato. «The perfect save» è una battuta da pub, adesso. Non è un caso da talk show, né un ricordo da rinfacciare come facciamo noi con Zoff per i gol presi dall'Olanda nel 1978. A noi non è bastato il Mondiale vinto quattro anni dopo, mentre gli inglesi per dimenticare si sono accontentati di una Coppa del Mondo persa. Basta: lui non ne parla più, i libri la raccontano come un episodio normale, come una cosa che accadde perché doveva accadere, perché il portiere è uno che rischia, e non può essere l'unico responsabile. Il 1986 ha cancellato i ricordi del prima e del dopo, e se è per questo anche del durante, almeno tutti quelli che superano quei cinque minuti tra il 51º e il 55º della partita giocata il 22 giugno 1986.

D'altronde che cosa puoi pretendere quando hai avuto tutto in così poco tempo? In quei quarti di finale Shilton è l'unica cosa a esserci oltre a Diego. L'anti-Diego. Quello che serve per creare un Dio è un essere umano.

Uno che dalle inquadrature sa quando uscire e quando rientrare, suo malgrado.

Commenti