Cultura e Spettacoli

Una risata vi descriverà. Molière maestro moderno

L'ipocrisia di Tartufo, l'avarizia di Arpagone, la misantropia di Alceste... Nei personaggi del genio francese tutti i peccati capitali dell'uomo di oggi. E il modo per "confessarli"

Una risata vi descriverà. Molière maestro moderno

Nella confusione antropologica in cui l'Italia si trova, di cui anche la difficile ripresa è parte (perché la Grecia si rimette in moto e noi no?), e che è l'esito di un secolo e mezzo di menzogne e di sfiducia eretta a sistema - ebbene, in tutto questo cosa ci fa un'impresa editoriale come la collana «Classici della letteratura europea» diretta da Nuccio Ordine, con volumi bellissimi, curati con rigore, bene introdotti, lussuosi eppure dal costo sorprendentemente ridotto?

Perché pubblicare in una simile collana l'opera teatrale completa non di Dante o di Machiavelli ma di Molière, il testo a fronte, secondo quello che dovrebbe essere il primo dovere dell'editoria di un Paese europeo, ma che i costi troppo alti rendono impossibile a meno che soggetti imprevedibili (come la Provincia di Cosenza, la Fondazione Cassa di Risparmio Calabria e Lucania e l'armatore e collezionista d'arte greco George Embricos) non diano il proprio sostegno all'operazione?

Le tremila pagine di queste Opere di Molière (Bompiani) e il loro costo accessibile (50 euro: un affare) suscitano in chi s'imbatta in libreria in un volume come questo e sia, o desideri essere, un ammiratore del più grande commediografo e di uno dei più grandi intellettuali di tutti i tempi, una sorpresa che obbliga a cercare, tra le pagine, un indizio: come è stato possibile realizzare un libro come questo?

La domanda è coessenziale al libro e all'opera di Molière (Parigi, 1622-1673), che si situa al crocevia di una rivoluzione sociale e culturale senza precedenti: quella stessa rivoluzione che porterà, nel tempo, a considerare indispensabile all'esistenza stessa della civiltà la conservazione e la perpetuazione delle opere del suo ingegno. Nel suo ottimo saggio introduttivo, Francesco Fiorentino mette in luce il rapporto tra i meccanismi del comico - o, molièrianamente, del ridicolo - e la complessità della situazione culturale e sociale dell'epoca, con osservazioni tali da permettere anche al lettore di oggi quel salutare straniamento dal flusso del tempo che, solo, può render conto del perché una certa epoca rida fino a sbellicarsi di cose che lasceranno indifferenti le epoche successive. La comicità si trasforma così in un prezioso ponte per la comprensione di un'attitudine essenzialmente sociale, qual è il ridere: il pianto è sempre personale, anche quando è collettivo, così come anche la più segreta e solitaria delle risate è sempre pubblica, politica.

Personaggi come l'ipocrita Tartufo, l'avaro Arpagone, lo straziante misantropo Alceste, o ancora Argante il malato immaginario, per dirne solo alcuni, appartengono al nostro modo di pensare e di guardare la realtà umana. L'idea secondo cui una passione, un'ossessione possano assumere la forma di vere e proprie patologie personali fino alla distruzione della personalità umana ha trovato nell'opera di questo genio una prima, essenziale espressione. Molteplici sono i punti d'approccio di una figura così universale, capace di giocare con i modi della farsa popolare per confezionare autentici capolavori tragici (pensiamo solo al Misantropo o all' Avaro ). Uno però mi sembra di particolare interesse: quello politico.

Il Teatro (così come il Romanzo, e più del Romanzo) è una forma d'arte essenzialmente politica. Suo tema fondamentale è il rapporto tra pubblico e privato, tra individuo e potere, dove «potere» non identifica (come nella nostra concezione iperburocratica, borbonica) un posto di comando ma piuttosto una forza diffusa che fa leva non tanto sulle caratteristiche personali, quanto su determinati dispositivi sociali, che determinano non solo la forma del comando ma anche quella della conoscenza. Il comico è senz'altro uno di questi dispositivi, che Molière dimostra di conoscere come nessun altro. Come Cervantes, anche Molière si situa tra due epoche diverse, e la sua opera mette a tema il conflitto che ne deriva. Se la società francese, all'epoca del Re Sole, cambia rapidamente, ciò riguarda i valori sociali e il susseguirsi delle mode, ma anche e più profondamente il rapporto che la nuova epoca stabilisce tra «individuo» e «società».

Con saggezza e realismo, Molière sa che il complesso delle condizioni sociali è inevitabile, e chi cerca di evitarle (come il povero protagonista de La scuola delle mogli ) finirà, come si dice, becco e bastonato. Ma non meno perniciosa è la tendenza a far coincidere il valore dell'individuo con la sua posizione sociale, e ad annullare il vizio (purché privato) al cospetto della virtù (purché pubblica). Lettore implacabile dei vizi umani e delle loro conseguenze sul piano dell'umana convivenza, Molière cercò, nell'ultima parte della sua vita d'artista, di ottenere l'attenzione del re (figura oggi quasi incomprensibile, così come lo è il concetto di «nazione») per esibire davanti a lui, come scoprendo una fasciatura, le magagne del mondo. Questa fu una delle ragioni per cui fu inviso alla Chiesa e alle istituzioni culturali francesi come l'Académie.

Gli uomini di teatro spesso lo invidiano per la sua morte, che (un po' stupidamente) augurano anche a se stessi. Com'è noto, infatti, Molière morì sulla scena, mentre recitava Il malato immaginario . In quell'occasione il grande artista esagerò un po': il testo è più che sufficiente a far comprendere come le malattie immaginarie siano tra le più reali e perniciose. In realtà, Il malato immaginario è - come tutti i capolavori di Molière - di una profondità abissale: Argante è essenzialmente un uomo solo, soffocato dai suoi fantasmi, assediato da un mondo fatuo, che egli ha in odio. La soluzione finale (Argante guarisce diventando medico egli stesso) mette in scena il dispositivo sociale che, curando da un lato il sintomo del malessere, ne rende al tempo stesso irraggiungibile la causa profonda.

Nella sua trasparenza, il Teatro impietosamente porge al potere un punto in cui specchiarsi. Ma affinché questo specchio non sia ipocrita, è necessario che l'artista configuri la propria opera come una sorta di anti-potere. Per tutta la sua vita, Molière difese la dignità e l'unicità della persona umana contro tutte le espropriazioni (compresa, spesso, quella del potere religioso, o della cultura) di cui può essere vittima. Ora, la persona umana assume nel teatro di Molière un potere di opposizione e talora di sovversione che, una volta introdotti, diventeranno un carattere costante di tutta la letteratura francese. Da Balzac a Hugo, fino a Ionesco e a pensatori come Michel Foucault, il seme introdotto da Molière in terra di Francia darà - per la Francia e per il mondo - frutti sempre straordinari, sempre irripetibili. Un grande intellettuale è sempre chi (da Euripide a Pasolini) sa opporre le proprie parole alle parole del potere, guardandolo sempre in faccia.

In questo, e scusate se è poco, nessuno è stato come Molière.

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