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Feroce, corsaro, sublime: ecco il vero Napoleone

Il volume di Fisher, autore prediletto da Croce, è un classico della storiografia liberale. E cattura l'anima dell'imperatore

Feroce, corsaro, sublime: ecco il vero Napoleone

F u Benedetto Croce a caldeggiare la traduzione di un lavoro destinato al successo ma anche ad agitare quanti vi rintracciavano una larvata polemica contro il fascismo in un momento nel quale il regime era al massimo del consenso. L'opera, in tre volumi, era la Storia d'Europa dell'inglese Herbert Albert Laurens Fisher (1865-1940) e l'anno dell'edizione italiana il 1936, lo stesso della fondazione dell'impero dopo la campagna per la conquista dell'Etiopia. Croce, il quale pure aveva pubblicato qualche anno prima la sua Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932) tutta declinata all'insegna della «religione della libertà», si era preoccupato, d'accordo con l'autore, di sopprimere o attenuare qualche passaggio per non incappare nelle maglie della censura fascista. L'accorgimento riuscì soltanto a metà: la prima edizione fu tollerata, ma non la seconda per la quale venne disposto il sequestro. Fisher non celava affatto le idee liberali dell'autore: in una nota questi lamentava che «dopo aver conquistato terreno per tutto il secolo diciannovesimo» purtroppo «la marea della libertà» si era «improvvisamente ritirata da vasti tratti della superficie europea» e si chiedeva: «per quanto grandi siano i benefici che l'accompagnano, si potrà mai lodare il diffondersi della schiavitù?». Per lui la civiltà europea era la madre di quelle idee - principio di nazionalità, libertà, progresso, democrazia - transitate dall'Occidente all'Oriente e la vocazione dell'Europa, così come la sua energia creatrice, stava nella capacità di assimilare i «barbari» portandoli a forme di vita, di cultura, di civiltà sempre più elevate.

Fisher aveva svolto anche attività politica: ministro dell'Istruzione nel gabinetto liberal-conservatore di Lloyd George, aveva legato il proprio nome all'Educational Bill ed era stato un convinto sostenitore delle tesi di Woodrow Wilson e della Società delle Nazioni. A partire dal 1925 aveva, però, abbandonato la politica e, tornato all'insegnamento universitario e agli studi storici, si era dedicato in particolare al genere biografico, allora, dopo la pubblicazione delle opere Giles Lytton Strachey, di gran moda in Gran Bretagna.

La Storia d'Europa è la sua opera più conosciuta, ma nel primo quindicennio del Novecento (dopo aver trattato di storia inglese medievale e rinascimentale) Fisher si occupò di dell'età napoleonica con lavori, tanto di ricerca archivistica quanto di sintesi interpretativa, che gli conferirono una notorietà internazionale. Proprio per i suoi interessi per l'età napoleonica Lord Acton lo chiamò a collaborare alla Cambridge Modern History, grande monumento della storiografia liberale inglese pubblicato in tomi ponderosi fra il 1902 e il 1911: e all'«arte di governo» di Napoleone, così come al bonapartismo, Fisher dedicò studi importanti. La sintesi fu il rapido, brillante e fortunato profilo critico-biografico Napoleone (Castelvecchi, pagg. 192, euro 19,50) pubblicato nel 1913.

L'imperatore dei francesi era il nemico storico della Gran Bretagna. Fisher non si lasciò prendere dal pregiudizio inglese che ha caratterizzato gran parte della storiografia d'oltremanica e che tende a presentare, ancor oggi, Napoleone come un mostro demoniaco. Consapevole di trovarsi davanti al «più grande conquistatore e condottiero dei tempi moderni» ne fu incuriosito e attratto, anche se il conclusivo giudizio etico-politico sull'imperatore fu, alla fine, negativo. Ne fece un ritratto sintetico ed efficace: la «piccola, quasi minuscola statura, la tondeggiante simmetria del capo, le guance pallide e olivastre, la fronte prominente, il naso e le labbra che sembrano scolpiti nei marmi più puri dell'arte classica e soprattutto gli occhi infossati di un grigio splendente, ora sfavillanti di scintille elettriche, ora velati in contemplazione impenetrabile».

Di quest'uomo che l'iconografia ufficiale aveva immortalato nelle effigi più diverse, Fisher cercò di penetrare la psicologia e scoprire il progetto politico: il tutto ricostruendo, con accuratezza mirabile, gli eventi storici. Nelle pagine di Fisher c'è l'eco della lettura della vicenda napoleonica fornita da Hyppolite Taine o Alexis de Tocqueville, per non dire di Madame de Stael. Al tempo stesso, ci sono riflessioni sulla natura e sui caratteri dell'impero napoleonico messo idealmente a confronto con quello romano e quello carolingio: autocrazia, accentramento, organizzazione dei territori periferici, tolleranza religiosa, culto della personalità. E, infine, c'è la rappresentazione del grande scontro fra un uomo che rappresenta «la più grande esplosione di energia umana che abbia sconvolto la politica del mondo civilizzato» moderno con la Chiesa cattolica, e con le due grandi potenze, Austria e Gran Bretagna, le quali, come ai tempi del duca di Marlborough e di Eugenio di Savoia, erano le «inveterate nemiche dell'espansione francese; l'una sbarrando la via del continente europeo, l'altra sorvegliando le rotte oceaniche che portavano ai nuovi mondi».

Dalla ricostruzione di Fisher, l'imperatore appare come una forza della natura capace di restaurare il rispetto dell'autorità in un paese preda del caos, di consolidare l'ordine sociale tra l'infuriare delle passioni, di modernizzare lo Stato e di riconciliare la vecchia Francia con la nuova Francia. Personalità complessa e ambiziosa, Napoleone versò fiumi di sangue, ma non a cuor leggero, e il potere non gli garantì la sensazione della sicurezza: «fino all'ultimo giorno egli fu un corsaro, guardingo verso i suoi nemici e sempre pronto a fiutare nel vento il più distinto e vago sentore di tradimento». Eppure, quest'uomo fu tutt'altro che rozzo, fine letterato e «sensibile alla bellezza solenne e semplice»: del resto - argomenta Fisher - se tale non fosse stato come avrebbe potuto ribattere alla assurda e pedante setta dei teofilantropi con queste parole: «Volete il sublime? Allora leggete il Libro delle Preghiere al Signore».

Napoleone, insomma, secondo lo storico inglese, rese grandi servigi al suo paese, lo avviò lungo i sentieri della modernizzazione politica e della crescita intellettuale, ma ottenne questi risultati con un regime autocratico che esaltava la sua fame di gloria e lo spirito d'avventura. Pur disponendo delle «più alte doti intellettuali mai concesse a un uomo», rimane comunque «il più grande esempio moderno di quella feroce e insolente arroganza che fu tema della tragedia antica, e che è in contrasto con l'armonia della vita umana».

Una condanna morale di un Napoleone del quale subiva il fascino: non si poteva chiedere di più a uno storico liberale inglese come Fisher.

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