Cultura e Spettacoli

Il Duomo si riempierà di cadaveri Ma c'è salvezza dopo l'apocalisse

Un romanzo complesso (a dispetto del titolo) e giustamente ambizioso: per combattere la decadenza prima di tutto serve la letteratura

Il Duomo si riempierà di cadaveri Ma c'è salvezza dopo l'apocalisse

L'istinto di narrare, dai racconti attorno al fuoco dei primitivi alle serie tv della HBO, è tra i più utili e straordinari dell'uomo. La finzione - dai poemi ai romanzi, dal cinema ai videogame - fornisce all'uomo un archivio mentale di situazioni complesse (problemi da risolvere, i grandi dilemmi dell'esistenza) che ci aiutano ad affrontare veramente le avversità della vita. Raccontare storie insomma, insegna la scienza, è vantaggioso per la sopravvivenza della specie. Ma anche, ci dice la letteratura, necessario per la protezione della Bellezza.

Ecco, di fronte alla domanda: perché uno scrittore decide di dedicare dieci anni della propria vita per scrivere un romanzo- monstrum di 850 pagine, che è un romanzo composto a sua volta da tanti romanzi, la risposta è: per istinto di sopravvivenza, perché uno scrittore non può non scrivere; per resistere al male peggiore della società occidentale che è la dimenticanza; e per una necessità di salvare, attraverso le parole narrate, la Bellezza, che è un concetto astratto, ma la cui concretezza si traduce nell'amore tra due esseri umani.

Luca Doninelli, dopo anni di dedizione assoluta, pubblica oggi un romanzo ambiziosissimo - e l'ambizione è la più necessaria delle doti di uno scrittore -, un'«opera mondo» che pretende di tenere dentro tutto (la narrazione, le riflessioni sulla lingua, la teologia, l'arte, lo studio della condizione umana, il destino) in un libro-fiume alimentato da «tanti ruscelletti fatti di storie, episodi, fatti gravi e fatterelli, destinati, prima o poi, a raccogliersi» (pag. 25) per sfociare in un mare/oceano di fronte al quale provare a rispondere alla domanda delle domande, che è quella attorno alla quale ruota il romanzo epico di Luca Doninelli, ossia: «Che cos'è l'uomo?» (pag. 311).

Intitolato semplicemente, e la cosa è già indice della sua complessità, Le cose semplici (Bompiani), il romanzo di Luca Doninelli, l'Autore, è una profonda narrazione mise en abyme , una lunga storia in cui ogni personaggio racconta a sua volta delle storie. Il tutto ricomposto dal Narratore, di nome Mark, il quale riordina, per sé stesso e per il Lettore, nove quaderni lasciati dal padre, Dodò, il Protagonista.

E i quaderni raccontano di un uomo e una donna - Dodò, italiano, professore di Teoria della critica letteraria, e Chantal, francese, enfant prodige della matematica - che si conoscono a Parigi, si amano, vengono sorpresi dal crollo della civiltà (sono i tre quaderni «milanesi», bellissimi, da pag. 61 a pag. 390, dove si narra di una Milano tornata all'età della pietra, in mano alla banda dei cannibali, a quella di Chiaravalle e ai cinesi), vengono divisi dagli eventi da una parte all'altra dell'Oceano Atlantico, per vent'anni hanno una propria vita, Chantal con due figli, di cui uno, adottivo, è Mark, mentre Dodò con una nuova amante (sono i quaderni americani, meno apocalittici ma più sofferenti, da pag. 393 a pag. 831), quindi si ritrovano, fino a quando la morte comincia a fare la sua comparsa accanto a colui che ha a un certo punto cominciò in modo furioso a scrivere la sua storia per noi .

Ma la storia, come semplice trama, si può liquidare in poche righe, come fa la sinossi a fine romanzo (pagg. 833-38). Quello che invece rimane sono le storie che si intrecciano al racconto principale. E cioè: quella che racconta che si scrive per non dimenticare le cose e le persone, «per quanto la cultura occidentale abbia tessuto con pazienza la trama dell'oblio» (pag. 86); quella che racconta come la grande letteratura, da Dante a Cervantes fino a Proust, rifletta sul tempo infinito (pag. 273) contro l'inconsistenza dell'editoria di mercato e della letteratura «civile», «educata» ma inutile di oggi (pag. 312); quella che racconta come la salvezza viene dall'arte (le pagine sul Louvre, pag. 176, o sui tesori di Firenze, pagg. 428-32, quelle su arte e politica, pagg. 825-26), quella che racconta l'arte del romanzo («Elencare le proprie disgrazie, le proprie sofferenze, riferire qualche storiella divertente, dire qualcosa di intelligente, be', tutto questo è abbastanza facile. Ma mettere su carta lo schianto di un dono abbagliante, la sorpresa di trovarsi d'un tratto, con tutta la propria banalità, al centro del mondo, è molto difficile», pag. 378); e soprattutto quella che racconta che non sarà una guerra nucleare, o un virus, o una catastrofe naturale a distruggere il mondo, ma la mancanza di fiducia nell'uomo (e la forza narrativa del romanzo di Luca Doninelli, incastrata pagina dopo pagina in una perfetta complessità della struttura, concede perlomeno una certa fiducia verso la letteratura contemporanea).

A proposito, il racconto comincia più o meno nell'aprile 2039, come suggerisce l'unica indicazione temporale del romanzo («ma potrebbe essere una data falsa», pag. 61), ossia 22 anni dopo l'interruzione del mondo.

Più o meno ci siamo.

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