Cultura e Spettacoli

"La fine di JFK e un camion Ed ecco l'incubo di Duel"

Il grande rammarico di Matheson: avere deluso Ray Bradbury per l'adattamento televisivo di Cronache marziane

"La fine di JFK e un camion Ed ecco l'incubo di Duel"

Mi è capitato una volta sola di chiacchierare con Richard Matheson. E l'incontro fu fulminante. Mi sembrò di essere in una zona ai confini della realtà quando, nel 2003, negli studi di Radiodue, un simpaticissimo Matheson si raccontò per quasi due ore ai microfoni della trasmissione Tutti i colori del giallo. Con me c'erano il traduttore Seba Pezzani e il direttore di Urania Giuseppe Lippi, con le cuffie in testa e la voce di Matheson nelle orecchie. Ecco un estratto di quell'incontro speciale.

Qual è stato l'autore che l'ha spinta a coltivare la passione per il fantastico?
«Quando io e i miei coetanei ci mettemmo a scrivere per la prima volta, Ray Bradbury esercitò su tutti una grande influenza. Abbiamo tutti provato a scrivere come lui e nessuno di noi ci è riuscito, cosa che ci ha spinti a sviluppare un nostro stile personale».

Lei adattò anche Bradbury per la televisione?
«Nell'adattamento televisivo di Cronache marziane che ho curato, alcune cose non erano male, ma nel complesso non sono soddisfatto. A Ray non piacque granché e lo capisco: alcune scene erano fantastiche, ma nel complesso credo non sia stato un progetto molto riuscito. Mi dispiacque molto che lui non ne sia rimasto soddisfatto perché avrei voluto farlo contento. Ecco perché sono stato molto fedele alla sua storia, non ho concesso nulla all'improvvisazione».

Come nacque Io sono leggenda?
«Da ragazzino andai a vedere Dracula con Bela Lugosi e, a dispetto della mia giovane età, mi venne l'ispirazione. Passarono diversi anni prima che mi mettessi a scrivere, ma l'idea di base era questa: se un vampiro fa così paura, che cosa succederebbe se tutta l'umanità fosse fatta di vampiri, a eccezione di un uomo? L'idea mi venne da quel film e da quella considerazione».

Il cinema ha sempre avuto un'influenza speciale su di lei come spettatore e come narratore?
«I film mi hanno ispirato moltissimo. Una volta andai a vedere una pellicola di cui ora mi sfugge il titolo. Ricordo che vi recitavano Ray Milland ed Aldo Ray. A un certo punto del film, Ray Milland se ne andava stizzito, prendeva il cappello e se lo metteva in testa. Ma era il cappello di Ray ed era talmente grande da scendergli fin sotto gli orecchi. Al che mi sono domandato: e se un uomo si infilasse un cappello che è certo sia il suo e gli succedesse comunque una cosa del genere, rendendosi conto di essere diventato più piccolo? Ecco da dove ho preso l'ispirazione per Tre millimetri al giorno».

Stephen King sostiene di doverle molto...
«Credo che la maggiore influenza che ho avuto su King stia nel fatto che lui, come molti altri scrittori, prima di iniziare a leggere i miei libri scriveva storie fantasy e horror su castelli, cimiteri, vampiri, mentre le mie storie raccontavano di fatti terribili che accadono nel tuo quartiere o al supermercato. Credo che questo gli abbia offerto prospettive narrative completamente diverse. La cosa che King sa fare meglio, ovviamente, è raccontare storie. E anch'io mi considero un narratore».

Duel nacque in maniera molto singolare...
«Avevo un amico scrittore, ora scomparso, Jerry Sohl. Era uno scrittore di fantascienza. Una volta andammo a giocare a golf in un posto chiamato Elkon's Ranch, oltre Moore Park. Interrompemmo la partita per pranzare sul posto e fu allora che venimmo a sapere che il Presidente Kennedy era stato assassinato. La notizia ci sconvolse: non riuscimmo a mangiare e non concludemmo la partita. Salimmo in macchina e iniziammo a percorre la strada tortuosa che passava per un canyon quand'ecco che un enorme camion iniziò a tallonarci, facendosi sempre più minaccioso. Jerry dovette andare sempre più veloce... Insomma, per farla breve finimmo fuori strada, facemmo testa-coda in una nuvola di polvere, e il camion ci sfrecciò accanto come se niente fosse. Eravamo sotto choc. La cosa buffa, ancor oggi, è ammettere che, una volta passato lo spavento, lo scrittore che è in me prese il sopravvento e mi annotai alcune delle sensazioni provate. Ma passò una decina d'anni prima che scrivessi quella storia».

E il film che ne trasse Spielberg?
«Un ottimo lavoro, lo lanciò alla grande. Pare abbia detto che prima di fare un film lui si va sempre a riguardare Duel. Per esempio, realizzò Lo Squalo come se fosse un duello con lo squalo, appunto».

È vero che non ama i generi letterari?
«Detesto che i critici dividano per generi letterari i romanzi. Scrivo ogni tanto degli articoli, ma l'unico editoriale non-fiction che abbia mai scritto è stato per il Writer's Digest. Era un attacco a quel tipo di mentalità che tende a fare distinzioni di genere. Una volta tenni un discorso a un convegno di scrittori scagliandomi contro la scrittura di genere. Uno scrittore che ragiona per generi è fuori strada. Forse i lettori hanno necessità di distinguere gli scrittori in base al genere, di inserirli in comode nicchie, ma io ho sempre cercato di scansare quest'operazione. Ho scelto di scrivere romanzi con elementi noir e horror. Del resto si può ambientare una storia d'amore su Marte come se si trattasse di un romanzo di fantascienza, ma si può ambientare quella stessa storia d'amore nel buon vecchio West. Oppure la si può collocare in Transilvania, ed ecco che si è scritto un romanzo dell'orrore! L'idea stessa di costringere uno scrittore entro confini predefiniti mi è aliena. Ci sono scrittori che continuano a scrivere la stessa cosa, che non la smettono mai di ripetersi, ma io ho sempre cercato di non cadere in quel tranello.

Credo che a volte i miei lettori siano un po' confusi perché ho la tendenza a saltare da un genere all'altro».

Commenti