Cultura e Spettacoli

Il senso della vita non è nel Dna ma nel desiderio di cose eterne

I quesiti più grandi sono privi di soluzione incontrovertibile eppure non possiamo smettere di porceli. E questo rende speciale l'essere umano

Il senso della vita non è nel Dna ma nel desiderio di cose eterne

La sua domanda, caro amico, è in realtà tante domande: tutte quelle che si affacciano alla mente di una persona ragionevole nei momenti importanti della vita. Ad esse non si può dare una risposta teorica. Forse in altri tempi era possibile, oggi no di certo. Di fronte ai suoi interrogativi non ci sono scrittori, giornalisti, preti o filosofi: siamo tutti al punto di partenza, sulla stessa linea. Naturalmente, non ho alcuna presunzione di rispondere, ma soltanto di esprimere quella che è la mia posizione di fronte alle sue domande, che sono anche le mie.
Concordo anch'io con lei nel dire che quella che chiamiamo la nostra libertà in realtà soggiace, come tutto il resto, al nesso di causa ed effetto. Sembra che nel nostro cervello esista un'area che domina la sfera della libertà. Lei parla inoltre del DNA, mentre negli anni Settanta (oggi ingiustamente dimenticati) si parlava molto di condizionamenti sociali, familiari, di dinamiche coercitive e così via. Tutto vero. Se però vogliamo che le nostre parole abbiano un senso, è necessario supporre che la libertà, da qualche parte, ci sia. Altrimenti dire che «la libertà esiste» e dire che «la libertà non esiste» sarebbe lo stesso: sarebbero solo due affermazioni di pari peso, insignificanti in sé perché determinate da questa o quella circostanza (biologica, biografica ecc.). Noi possiamo decidere che due più due fa cinque, però non fa cinque. La libertà di aderire al vero non dipende dal DNA.
Ora le voglio fare io una domanda. Lei - di cui non conosco il nome - considera accettabile o inaccettabile il fatto che una risposta alle sue domande non esista? Da parte mia lo considero non solo accettabile ma ragionevole e necessario. Se vivessi con la risposta a tutte le domande che mi inquietano credo che non resisterei, mi ammazzerei anche se tutto dovesse andare bene e non ci fossero più odio né ingiustizia. Meglio l'inquietudine. In un mondo dove tutto funziona perfettamente secondo uno schema comprensibile io, francamente, non ci vorrei vivere. In un mondo pieno soltanto di belle sorprese io non ci starei, mi sentirei soffocare.
Certo, il nostro cuore (o anima, come preferisce) è fatto per l'amore la giustizia le bellezza la verità e quant'altro, però (almeno il mio) non può sopportare che tutto questo si realizzi dentro i nostri schemi finiti. Mi domanderei: ma questa bellezza che vedo è davvero tutta la bellezza? E la giustizia che regna è tutta qui? Avrei sempre l'impressione che qualcosa sfugga, rimanga fuori, non detto, e io sarei ugualmente inquieto. Il fatto è che noi siamo fatti per tutta la giustizia e per tutta la verità, ossia per una giustizia e una verità infinite. Noi siamo fatti per l'infinito, e l'infinito non si lascia racchiudere in nessuna delle nostre immagini.
San Tommaso diceva che «l'anima è in qualche modo tutte le cose» (anima est quodammodo omnia), ma tutte le cose stanno oltre la nostra capacità di comprensione, perché noi non abbiamo la minima idea di cosa siano tutte le cose. Sappiamo soltanto, perché lo vediamo tutti i giorni, che il mistero del male, dell'ingiustizia, del dolore innocente e della tragedia fanno parte della realtà quotidiana, ossia di quella totalità per la quale siamo fatti ma che «nel pensier rinova la paura». Forse il piccolo punto nel quale siamo veramente liberi è proprio questo: accettiamo sì o no che esista il mistero? Abbiamo la forza di sostenere il mondo nella sua apparente assurdità?, o consideriamo tutto questo semplicemente inaccettabile? Ungaretti si chiedeva: Chiuso tra cose mortali (anche il cielo stellato finirà) perché bramo Dio? È necessario decidere se la brama di Dio è un'illusione o no. E fare attenzione alla risposta che diamo, perché su di essa si gioca la partita della vita e della nostra umanità.
Lei parla di Dio. Anch'io al catechismo imparai che Dio è onnipotente e onnisciente, però il prete che mi spiegò per primo queste cose mi disse anche che noi non possiamo comprendere cosa significano e dobbiamo accettarle per fede, non perché siano irragionevoli, ma perché la nostra mente appartiene al tempo e non può in nessun modo comprendere cosa sia una mente eterna. Non so se fu una risposta giusta. Quello che l'esperienza concreta c'insegna è che l'unico Dio che abbia messo piede (un piede di carne, visibile) su questa terra scelse la debolezza e l'impotenza per entrare nel mondo: come una pecora in mezzo ai lupi. C'insegna anche che, almeno in apparenza, la sua missione è fallita. Val la pena perciò di chiedersi come mai Dio, che conosce e può tutto, abbia scelto proprio quel modo fallimentare. Questo scandalo è cominciato con la morte di Gesù e continuerà, immagino, fino alla fine dei tempi. Ma, anche in questo caso, la risposta non può essere astratta. Essere cristiani non è una teoria, vuol dire stare con Cristo, fin da quando ci si alza la mattina. Il cristianesimo non è una morale di vita, ma una compagnia: o stai con Cristo o non ci stai.
Io non credo di avere una grande fede, però conosco tanti uomini e donne di fede, e la loro vita mi sembra più umana, più bella, così che anche a me viene voglia di imitarli. Anche loro vivono in mezzo all'ingiustizia e all'assurdità, e soffrono come se non più degli altri perché a loro non è possibile sottrarsi al dolore degli altri. Eppure vanno avanti, «sempre in lotta», come scriveva Eliot. Stare con Cristo ci insegna a donare tutto quello che siamo senza stare troppo a pensare se quello che facciamo è meno di una goccia nell'oceano, perché a ragionare così si finisce per diventare cinici, si finisce per giudicare inutile ogni impegno, così prevale l'indifferenza, e anche la famosa goccia nell'oceano viene meno.
Quanto alle anime destinate all'inferno, beh: che l'inferno esista non c'è dubbio, lo percepiamo tutti i giorni fuori e dentro di noi. Resta da decidere dove si trovi. Io però non sono così sicuro che ci finirà tanta gente come dice lei, caro amico. L'uomo è un dialogo segreto, un mistero conoscibile solo in parte (aspetto fisico, carattere, opinioni ecc.), ma di cui ci sfugge il punto essenziale. Per questo è consigliabile evitare di rinchiudere il prossimo nel nostro personale inferno.

Oppure, se proprio questo non ci fosse possibile (sapesse quanta gente condanno a morte, tutti i giorni!), lasciamo almeno una porta aperta, così da permettere loro, se ne avranno la forza, di fuggire.

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