Cultura e Spettacoli

Affittare piramidi e sfinge? Farebbe bene alla cultura

I musei sono sempre di più e in concorrenza, persino il Louvre vuole aprire una sua succursale ad Abu Dhabi. Chi teme i privati sciupa occasioni...

Affittare piramidi e sfinge? Farebbe bene alla cultura

Il numero dei musei è vertiginosamente aumentato negli anni. Il nome stesso sfugge a ogni restrizione. In Italia nel 2012 erano aperti 4.740 musei. In Germania 6.281. In Austria 812. In Svizzera oltre 900. Una crescita esponenziale se pensiamo che negli ultimi sei anni sono stati aperti quattro volte la quantità di musei aperti nella prima metà del Novecento.
Di fronte a una tale crescita, non ci può essere nessuna regola imposta dall'alto che ordina di chiuderne la metà o un quarto, o stabilire un numero sotto il quale stare. Ciascuna restrizione sarebbe sempre un atto di imposizione alla libera determinazione dei territori e delle comunità. L'unico modo per permettere che la libertà di approfondire, ricercare e condividere, subisca il meno danno possibile dalle inevitabili strutture che gli uomini si danno, è consentire a ogni realtà culturale di autogestirsi e autogestire il patrimonio che possiede. Nessuna strada è escludibile. Ha fatto molto discutere il progetto che il Museo del Louvre di Parigi costruisca una «succursale» ad Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi. Il piano prevede il prestito per tre anni di 300 opere delle collezioni pubbliche francesi, poi di altre 200 per i tre anni seguenti, poi 100 per gli ultimi tre anni. Come contropartita il Louvre e i musei francesi riceveranno una cifra di quasi un miliardo di euro. Il progetto si era inizialmente fermato di fronte al sollevamento di varia opinione pubblica nazionale, che vedeva l'iniziativa come una svendita delle opere del Louvre. Poi è ripartito. In realtà, l'autonomia degli enti culturali, che io auspico, è proprio per non permettere a nessuno il diritto assoluto di veto e dunque il diritto a inibire i cambiamenti. Le considerazioni, le critiche, le paure devono essere attentamente valutate, ascoltate, meditate, ma salvaguardando la possibilità dell'ente di scegliere liberamente. Sarà poi la normale turnazione, il normale cambiamento alla guida dell'istituzione culturale a modificare la linea direttiva avuta fin a quel momento, confermarla o del tutto respingerla e intraprenderne un'altra.
Ha fatto ugualmente molto scalpore un altro episodio, rimasto finora alla battuta giornalistica e che invece dovrebbe essere preso molto sul serio anche nel nostro Paese: dare in concessione o in affitto le piramidi e la Sfinge di Giza, in Egitto, al governo del ricchissimo Qatar o a un facoltoso ente esterno all'Egitto, in cambio di un forte contributo economico. Fino ad adesso sembra un sacrilegio che le piramidi d'Egitto vengano gestite da un ente fuori dall'Egitto, ma è solo un disguido della lingua. Che cosa ci importa chi gestisce Pompei o le piramidi o la biblioteca di Roma o il Louvre di Parigi? Importante è che persistano immutate e senza alcuna incertezza le stesse condizioni di tutela e di fruizione pubblica. Importante è che vi sia un inderogabile onere di apertura al pubblico e di interesse pubblico. Non puoi trasformare le piramidi in una sauna, ma non deve interessare chi le gestisce.
Chi gestisce il privato Museo Guggenheim di Venezia? Non mi importa, mi importa di poterlo visitare, studiare e sempre più condividere. La stessa situazione riguarda Pompei: sono anni, oramai decenni, che i quotidiani e le televisioni documentano la patente incuria in cui versano molte sue strutture. A fronte di finanziamenti che sembrano non bastare mai, è più proponibile che Pompei sia gestita non dallo Stato, ma da un ente specifico, autonomo e indipendente. E se a gestirla per un periodo di tempo, prima della normale turnazione come avviene in ogni organizzazione umana, è un ente straniero, non deve essere una bestemmia. Come non è una bestemmia se il Louvre cede a tempo determinato e con clausole rigidissime varie sue opere a una sua «succursale» negli Emirati Arabi. Non ha alcun senso discutere della proprietà o della gestione delle bellezze del nostro Paese; l'importante non è la proprietà, ma è l'uso, è ciò che ne fai, è il simbolo che diventano, è la consistenza valoriale che testimoniano. Un bene pubblico non è un bene dello Stato, è un bene reso pubblico, reso di pubblico beneficio. Le necropoli e le mura di Saturnia potranno pure essere di «proprietà» dello Stato ma, se sono coperte dai rovi tutto l'anno, smettono di essere beni comuni, semplicemente perché nessuno le riconosce più come tali.

Sono proprietà dello Stato, ma non sono beni comuni.
Il fatto che il Codice Leicester di Leonardo da Vinci sia di proprietà di Bill Gates, dopo essere passato di mano tra vari proprietari, e venga esposto con cadenze in città diverse, ci fa temere sulle sorti di questo noto trattato di Leonardo sull'idraulica? Il fatto che l'incantevole rete di castelli e ville tra Parma e Piacenza sia in gran parte di proprietà privata, con degli orari di apertura al pubblico, ci fa sentire meno importanti quelle straordinarie testimonianze d'arte?

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