Cultura e Spettacoli

Aiuto, arrivano i barbari! Sono i «giovani» poeti italiani

Le nuove voci liriche spuntano come funghi. Le antologie si moltiplicano, ma la qualità langue. Pubblicano soprattutto i mediocri. I migliori? Stanno zitti

In un'antologia che, pur pubblicata sei anni fa, visto l'autorevole estensore, è ancora utile per capirci qualcosa sulla «Giovane poesia italiana» (s'intitola Il miele del silenzio , Interlinea), Giancarlo Pontiggia conclude, con penna plumbea, che «siamo confinati - da troppo tempo - nell'ansa di un fulminato, sospeso, stupefatto quattrocentodieci della storia del mondo: ciò che sarà, della poesia e dell'uomo, ancora non sappiamo». Nel 410 i Visigoti di Alarico mettono al sacco Roma. L'unica cosa di cui non si è accorto Pontiggia è che i veri barbari della letteratura italiana, oggi, sono proprio i poeti.

Un virus. I poeti, in Italia, spuntano come funghi dopo la tempesta. Come un virus. Nel 2009 Pontiggia riteneva che di «giovani» poeti nati dal 1970 in qua ce ne fossero soltanto 18 degni di essere letti. Secondo la testimonianza di Isabella Leardini, poetessa antologizzata da Pontiggia e ideatrice del primo Festival della poesia giovane del Belpaese, Parco Poesia , «nel 2003 c'erano 30 poeti giovani nati negli anni Settanta, mentre nel 2013 ce n'erano 90 nati negli anni Novanta». Ergo: «In un decennio i giovani poeti proprio come l'Idra si sono triplicati, non è arrivata una sola generazione ma due». Ancora più agghiacciante il «Censimento dei poeti under 40» varato un anno fa da PordenoneLegge: in Italia si registrano «272 poeti tra i 20 e 40 anni che hanno all'attivo almeno una pubblicazione non autoprodotta». Pazzesco.

Questione di metodo, ovvero: cosa leggere? La giovinezza di per sé non è un valore poetico. Un poeta può essere eccezionale a 15 anni (Rimbaud) come a 80 (Goethe); la «poesia giovane», perciò, è un brand commercialmente utile (le case editrici fanno i soldi sui sogni di gloria dei lirici poppanti) ma esteticamente irrilevante. Detto questo, è dal nuovo millennio che si sfornano antologie, senza avere ancora capito quali poeti siano i nuovi Dante, Leopardi, per lo meno Ungaretti. Intorno al 2000 uscirono tre antologie con la pretesa di recensire i nuovi genietti dell'endecasillabo: L'opera comune (nata dall'esperienza della rivista militante Atelier ), I cercatori d'oro (scaturita dall'ala maestra di Davide Rondoni) e I poeti di vent'anni , anch'essa sorta per merito di due poeti, Mario Santagostini e Maurizio Cucchi. Mondadori capì che con i giovani poeti si poteva far cassa cinque anni dopo: nel 2005 manda in libreria la Nuovissima poesia italiana . Dieci anni dopo cosa è successo? C'è chi è passato dal verso al romanzo, una via più redditizia, come Mario Desiati, che per Rizzoli, dopo una serie di romanzi per Mondadori, ha appena pubblicato un libro sulla tragedia dello stadio Heysel, La notte dell'innocenza . C'è chi tiene il piede in due scarpe, anzi in tre, anzi in quattro, come Flavio Santi, che fa il saggista (nel 2013 ci ha deliziato con una Storia non convenzionale dei supereroi , Gaffi), il romanziere (dopo L'eterna notte dei Bosconero , 2006, è in eterna attesa del secondo romanzo per Rizzoli), il traduttore (mette le mani ovunque, da 007 per Adelphi a Fitzgerald per la Bur) e a tempo perso il poeta. C'è chi, come Simone Cattaneo, il più sfortunato e il più feroce, è stato santificato post mortem, il suo Peace&Love è un libro di culto, ristampato l'anno scorso da Il Ponte del Sale. C'è poi chi con estenuante costanza continua il proprio personale cursus honorum nella placenta della lirica, in attesa, forse, di una cattedra di poesia in qualche università: Elisa Biagini (l'ultima raccolta, Da una crepa , è griffata Einaudi), Maria Grazia Calandrone ( Serie fossile è uscito da poco per Crocetti), Federico Italiano (tra i più talentuosi, per Aragno ha pubblicato L'impronta ). Su tutto, però, aleggia un afrore di nostalgia, di giovinezza sprecata, di bei tempi perduti.

Se la poesia nostra ha un problema è quello della baronia diffusa. Un esempio. Quest'anno l'editore Aragno, nella sua nobile collana poetica, pubblica l'ex giovane (ha più di trent'anni: ma quando diventano adulti questi poeti?) Pietro Federico. Mare aperto è un libro complessivamente modesto, le poesie più belle sono quelle scritte in inglese. Un libro, comunque, che non si regge da sé, perché ha bisogno di una nota giustificatoria di Umberto Piersanti, vecchia volpe della poesia (classe 1941), che per altro ha appena pubblicato una raccolta poetica ( Nel folto dei sentieri ) per Marcos y Marcos dopo aver mandato brutalmente a quel paese Einaudi. Consuetudine oscena, provinciale, quella dei «maestri» che tengono a battesimo gli allievi, più che circonciderli li castrano. Non si contano le prefazioni dei vari Cucchi, De Angelis, Rondoni ad altrettanti autorevoli ignoti: anelano a fan e a portaborse per resistere un attimo in più della propria morte poetica. Il problema, però, è che il sistema del vassallaggio lirico prolifera. La neonata antologia di poeti «nati tra il 1983 e il 1995», Post '900 (Giuliano Ladolfi Editore, pagg. 210, euro 15), è esemplare: poeti poppanti e mai letti vengono introdotti da poeti che non hanno ancora dimostrato il proprio valore lirico. Alcuni esiti risultano grotteschi: Eva Laudace, tra i pochi poeti degni di nota dell'antologia, è introdotta da Valerio Grutt che è molto meno bravo di lei.

Editorialmente parlando, siamo nel migliore dei mondi possibili, per un poeta non è mai stato tanto facile pubblicare i propri quattro panni sporchi. Nascono, perfino, iniziative intriganti, come la «Monodose» di Print&Poetry (www.printandpoetry.com), «una poesia da portare sempre con noi come un amuleto, come una preghiera» (Giovanni Turria), dal momento che «la vita di un poeta, la vita di un uomo, sta tutta in un verso» (questo è Antonio Riccardi, ex colonnello a Segrate), singole poesia mirabilmente stampate, che stanno su una mano. Solo che questa non è ecstasy estetica, è roba indigesta, l'idea è bella ma le poesie no.

Nonostante gli entusiasmi e il volontariato diffuso, insomma, la poesia italiana è stagnante. Non è un caso che i più formidabili talenti di questi anni non scrivono da un pezzo (l'ultimo libro di Francesca Serragnoli, Il rubino del martedì , è del 2009), sono in attesa di pubblicare il capolavoro (Alessandro Rivali), non intendono pubblicare un verso (è il caso del quasi quarantenne Isacco Turina, autore di poesie allucinate e bellissime, «si spoglieranno gli angeli/ durante il temporale, e pelle e piume/ offriranno alle carezze dei lampi», che ha studiato il fenomeno dei Nuovi eremiti , Medusa 2014), oppure dissipano gioiosamente il proprio genio, come Andrea Ponso, coccolato dai grandi editori (nel 2011 pubblicò per Mondadori I ferri del mestiere ), installato nelle antologie scolastiche ( Il canone letterario , stampa il Principato), che ha da poco pubblicato per l'editore Fara il resoconto delle sue Letture bibliche , gli interessa il monastero più della fama.

Questo è un Paese che ha messo la museruola ai suoi poeti migliori.

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