Cultura e Spettacoli

Le amare profezie del reazionario Cioran

«Il pensatore che sta mettendo per iscritto una pagina senza destinatario si crede l'arbitro del mondo. Scrive lettere? Allora, al contrario, vi esprime i suoi progetti, le sue debolezze e i suoi fallimenti». Così, nel 1933, Emil Cioran spiegava, in una lettera all'amico Mircea Eliade, l'importanza dei carteggi per la conoscenza della vita e dell'opera di uno scrittore. Riflessione meno apprezzabile oggi, visto che le mail elettroniche sono più facilmente destinate al cestino del computer che agli scaffali delle librerie, ma sicuramente valida per i letterati vissuti fino alle soglie del nuovo millennio, come dimostra la recente pubblicazione proprio di un epistolario di Cioran. Si tratta di L'agonia dell'Occidente (Bietti, pagg. 440, euro 24, a cura di Massimo Carloni), un'importante raccolta di lettere indirizzate a un dotto austriaco, Wolfgang Kraus (niente a che vedere con Karl), che si occupa della traduzione di alcuni libri di Cioran in Austria.
L'esule romeno, che vive a Parigi dalla fine della guerra, ha raggiunto un'età in cui il disincanto ha sostituito la rabbia, temperata dalla sua immancabile ironia, che non smette di criticare gli intellettuali francesi di quegli anni, infatuati dal comunismo: «Baudrillard e gli altri erano a favore della Cina durante la Rivoluzione Culturale, ovvero durante il terrore organizzato. Da quando il regime cinese si è ammorbidito ed è diventato pro-occidentale, questi ammiratori professionali della violenza in nome dell'utopia sono rimasti completamente delusi. Per loro Stalin era un semi-Dio, o addirittura un Dio, solo perché era un boia con pretese ideologiche. Il fanatismo e l'intolleranza hanno un fascino irresistibile sui discendenti dei giacobini. Posso ben capire che a vent'anni ci si possa entusiasmare per certi estremismi, ma che vecchi intellettuali (Sartre, Althusser, ecc.) si ergano ad avvocati del totalitarismo, mi pare quasi inconcepibile». Ammira, invece, pensatori anticonformisti come Simone Weil: «Un fenomeno davvero singolare. Quasi una santa, benché intollerante e arrogante. Ovvero: proprio per quello». E Solzenicyn: «Voglio azzardare una profezia su di lui: sarà rifiutato - quando? - dalla sinistra occidentale. Non gli perdoneranno mai di aver attaccato l'ultimo Dio: Lenin».
Alle riflessioni letterarie o storiche alterna frequenti preoccupazioni per gli inevitabili malanni legati non solo all'età: «Il mio stato di salute non è particolarmente brillante. Tuttavia, è sempre stato così, sin dalla nascita». Misantropo, non si ammorbidisce con l'età: «Il matrimonio è un'avventura che conduce sovente all'ospedale»; altrettanto nocivi sono i riti e le consuetudini dell'ambiente letterario: «Ho sempre notato quanto sia pericolosa per uno scrittore l'attività in una casa editrice. L'effetto è “paralizzante”. Si legge troppo, s'incontra troppa gente, non si ha mai tempo per sé. Nella Sua lettera dice di sentirsi portato per la scrittura e l'organizzazione. L'unica soluzione, quando si organizza, è di non credere nell'organizzazione. Uno scrittore dev'essere, in fondo, un egoista. Un egoista come Dio».
Disincantato osservatore della politica, non si fa illusioni sul mondo diviso dal Patto di Yalta, destinato alla decadenza: «Mi chiede se ho riflettuto sulle cause della balcanizzazione dell'Europa occidentale. Veramente no. Tuttavia non bisogna dimenticare che i popoli balcanici sono gli eredi della dissoluzione dello Stato bizantino. L'Europa occidentale non è forse la nuova Bisanzio?». I tedeschi sono «un popolo di turisti» da cui non ci si può aspettare nulla; gli inglesi si sono macchiati di crimini altrettanto orrendi di quelli compiuti dai tedeschi: «Ieri sera, alla B.B.C., c'è stata una trasmissione sul rimpatrio forzato dei cosacchi in Russia. Raramente ho ascoltato qualcosa di così terribile. Per certi aspetti, peggio di Auschwitz. Lo ha ordinato Eden per accattivarsi Stalin. Il generale inglese che ha eseguito gli ordini ha ripetuto tre volte che si trattava di un “unpleasant task” \. Ci furono innumerevoli suicidi e molte madri uccisero i propri figli. Ho perso le mie illusioni sugli inglesi. Per trent'anni hanno occultato la tremenda verità». Per fortuna, ci siamo noi mediterranei: «Gli italiani sono rimasti (con gli asiatici) l'ultimo popolo ancora capace di sorridere e, quando sono colti, valgono molto più degli altri».
Irriducibilmente reazionario, si rassegna malvolentieri alla prossima dittatura del politicamente corretto: «In strada, si vedono soprattutto i discendenti dei vichinghi e gli immancabili neri. Un'immagine del futuro, solo che l'Africa sarà l'elemento di gran lunga prevalente. Il futuro è cupo». La causa della decadenza? Impavido, Cioran non esita a indicare il feticcio, intoccabile, che tutti dobbiamo adorare: «La libertà illimitata, sfrenata, di cui gode l'Occidente è a lungo andare nociva e persino pericolosa. La libertà ha un valore positivo solo finché esistono pregiudizi che la limitano.

Se tutti i pregiudizi fossero accantonati, l'istinto di conservazione sarebbe distrutto, e noi saremmo colti da vertigini».

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