Cultura e Spettacoli

Brodkey, alla ricerca del Proust americano

Dimenticato per vent'anni, torna il grande (e controverso) autore del fluviale romanzo The Runaway Soul. Con i racconti che sono un ritratto dello scrittore da piccolo

Brodkey, alla ricerca del Proust americano

Dividere gli animi sul proprio lavoro può essere una benedizione o un anatema. Dipende dal carattere. Harold Brodkey di carattere ne aveva da vendere. Lo dimostrò soprattutto nella vita, oltre che nella fiction, che peraltro nel suo percorso hanno quasi coinciso. Lo dimostrò nel '93, con Ai miei lettori sul New Yorker. In cui annunciava di avere l'Aids e di averlo contratto a causa dei rapporti omosessuali, facendo risalire la frequenza di questi rapporti agli anni '60. E la classe medica, che aveva annunciato il virus come una peste del tutto contemporanea, non la prese affatto bene. Di lì a tre anni Brodkey sarebbe scomparso.
Persino i suoi necrologi furono caratterizzati da citazioni controverse: chi titolava con l'etichetta di Harold Bloom, secondo cui l'autore di Amicizie profane (Mondadori) e Primo amore e altri affanni (Fandango) era «un Proust americano... senza termini di paragone nella narrativa dalla morte di William Faulkner»; chi con le parole di Gordon Lish (quel signore che «tanta parte» ebbe nella stesura dei primi racconti di Raymond Carver), suo editor alla Knopf, definì il romanzo-fiume The Runaway Soul, rimasto in progress per circa trent'anni (gli valse il titolo di «più famoso scrittore d'America non pubblicato») «l'unico capolavoro americano necessario del Novecento». Epperò il New York Times non mancò di inserire nella propria elegia le parole della Kirkus Review, che aveva marchiato i racconti di Brodkey come «Una lagna infinita». E poi si prese dell'arrogante, ossessionato da se stesso, prolisso, ripetitivo, sopraffatto dagli avverbi o ancora: «Il tipo di scrittore impegnato a lavorare in quella chiave minore che il New Yorker ha reso tanto di moda». Eppure i lettori di Brodkey sono sempre impazziti per lui: «dilagante come il mare dell'inconscio», scrisse la Pivano. Per il suo modo di scavare, e farsi male scavando, e non fermarsi lo stesso, e ricordare il male subito, ancora e poi ancora.
Un modo di raccontare ai limiti della psicanalisi, che poteva nascere soltanto negli anni '60 forse, ma così raffinato e ricco di quell'humour «ebraico» che in qualche modo ereditò dai veri genitori ebrei russi (il suo vero nome era Aaron Roy Wintrub) oggi ha di nuovo molto da insegnare: «Brodkey è stata la passione dei miei vent'anni», ci dice il direttore editoriale di Fandango, Mario Desiati. «Quando arrivai in casa editrice e conobbi Sandro Veronesi ed Edoardo Nesi parlammo delle nostre passioni letterarie, anche le più indicibili: eravamo tutti fan sfegatati di Harold Brodkey e discutevamo sulla grandezza misteriosa del romanzo mai tradotto in italiano The Runaway Soul (835 pagine di un'edizione enciclopedica di Farrar Straus Giroux, per farvi capire la mole). Fandango era la casa editrice di Infinite Jest, perché non tentare anche quell'impresa? Il patrimonio della letteratura sepolta è potenzialmente infinito».
Oggi che Fandango continua la ripubblicazione di Brodkey con un'altra raccolta di racconti, Storie in modo quasi classico (pagg. 862, euro 29,50, trad. Delfina Vezzoli), e annuncia appunto che porterà nelle librerie italiane per la prima volta The Runaway Soul, ci si chiede come sia stato possibile «dimenticare» per quasi un ventennio un autore così «stimolante», nel bene e nel male. Dimenticarlo al punto che pare che la traduzione italiana di The Runaway Soul sia stata «dissotterata» presso l'agente per poche migliaia di euro, meno del prezzo di un esordio standard. L'editore non conferma, ma si limita a commentare: «Diciamo che non abbiamo avuto concorrenza».
Le epifanie dei bambini e dei ragazzini di Storie in modo quasi classico sono quelle di Brodkey, il quale ha utilizzato la propria infanzia, adolescenza e gioventù come un serbatoio inesauribile e ciclico di materiale narrativo. Come raccontò alla Paris Review, diventare scrittore lo aveva salvato dalla disperazione e fu una decisione che prese molto presto: «La prima volta avevo otto o nove anni. Era un brutto periodo. Ero estremamente infelice. Vivevo con i Brodkey, i miei genitori adottivi». Il padre si ammala. Finiscono i soldi. Perde i due amici più cari: uno diventa attore-bambino a Hollywood e l'altra cambia scuola perché ha deciso di farsi suora, a otto anni. Brodkey bambino comincia a pensare che non avrebbe resistito un'altra settimana, o un altro mese, o tutta la vita: «Poi mi venne l'idea che un giorno sarei diventato scrittore. E la vita, la disperazione divennero cose che potevo studiare, come l'aritmetica o la geometria, o il Time.

Non fu subito tutto ok certo, ma almeno si rese gestibile».

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