Storia d'assalto

Quando Cesare passò il Rubicone e cambiò la storia di Roma

L'epopea del passaggio del Rubicone è una lezione di leadership e di perseveranza. La lezione più grande di Cesare è il fatto che gli uomini hanno il potere di cambiare e plasmare la storia e non solo di farsi trascinare da essa.

Quando Cesare passò il Rubicone e cambiò la storia di Roma

Tra il 10 e l'11 gennaio del 49 a. C. Gaio Giulio Cesare guidò le sue truppe nello storico passaggio del Rubicone. L'evento sancì un vero e proprio cambio di passo nella storia della Roma antica: inaugurò, ufficialmente, la guerra civile romana tra i cesariani e gli ottimati vicini al Senato e a Gneo Pompeo; accelerò il processo che, attraverso una lunga e sanguinosa serie di battaglie (Farsalo, Tapso, Munda le principali), avrebbe condotto il conquistatore della Gallia ai vertici del potere romano e, dopo il suo assassinio nel 44 a. C., portò all'istituzionalizzazione del principato dopo l'ascesa di Ottaviano Augusto; sconvolse, una volta per tutte, regole politiche e istituzionali consolidate nel tempo.

Il Rubicone, nella Roma repubblicana, era il confine estremo settentrionale del pomerium, il confine che separava l'Urbe dal resto del mondo, la delimitazione che originariamente coincideva con lo spazio circoscritto dalle "mura di Servio Tullio" e che poi l'avanzata delle legioni dello Stato romano aveva spinto sempre più in là. Ai comandanti come Cesare, che dopo i lunghi anni di conquista della Gallia si era visto recapitare dal Senato l'ordine di lasciare il proconsolato, di congedare il suo esercito personale e di tornare nella capitale, era vietato condurre truppe in armi oltre i confini del pomerium, pena l'automatica dichiarazione di ostilità nei confronti dello Stato. Uno Stato che, a detta di Cesare, si era però incancrenito sulla scia dell'ambizione del rivale Pompeo e di un Senato che temeva di esser messo in ombra dal comandante; una Res Publica in cui i leader intendevano sfruttare ogni arma a loro disposizione per castrare le ambizioni del figlio della Suburra e nipote di Gaio Mario.

Cesare passò il Rubicone tra il 10 e l'11 gennaio, in un inverno freddo che aprì la stagione delle guerre civili romane, alla testa della sua più fidata unità, la Legio XIII Gemina, le cui aquile erano state innalzate per la prima volta nel 57 a. C. durante la campagna contro i Belgi, avevano visto l'assedio di Gergovia e, secondo alcuni storici, anche la battaglia di Alesia in cui era affondata l'estrema resistenza dei Galli guidati da Vercingetorige. Una vera e propria guarda privata del comandante, alle cui azioni Cesare dedicò la celebre espressione greca riportata da Svetonio: "Ἀνερρίφθω κύβος", ovvero "sia lanciato il dado!", un'allocuzione riportata molto spesso in latino, in maniera apocrifa, come "il dado è tratto" (Alea iacta est). E la mossa, più simbolica che decisiva sul piano militare-strategico, sortì effetti a cascata. Inducendo sul piede di guerra i Senatori ostili a Cesare, ma provocandone il panico, la fuga a Oriente. Tagliando i ponti alle spalle di Cesare e dei suoi uomini, che furono condannati a andare avanti di vittoria in vittoria. Imponendo a Roma di trovare finalmente una quadra al grande scollamento che aveva portato alla guerra civile: la difficile coesistenza tra sempre più grandi appetiti espansionistici, dinamiche sociali complesse che soprattutto nella Capitale prendevano la forma di vaste disuguaglianze di opportunità e ascesa nella vita pubblica, un crescente desiderio di integrazione dei popoli espressione della provincia dello Stato romano nel progetto nazionale della Res Publica, l'impossibilità per lo Stato stesso di contenere l'ambizione dei partiti concorrenti ("popolari" contro "ottimati") stante la mole degli interessi il gioco.

E da allora in avanti fu proprio il passaggio del Rubicone a costringere la civiltà romana ad andare in cerca delle risposte. Il passaggio del Rubicone fu per Cesare il nodo gordiano di Alessandro, da tagliare piuttosto che sciogliere; fu il momento in cui vennero doppiate le Colonne d'Ercole e l'avvertimento "Non plus ultra!"; fu uno dei rari momenti in cui le volontà di un uomo e il destino del suo popolo si sono trovati, seppur solo temporaneamente, a coincidere appieno. Cesare, ambizioso e cinico, era figlio degli eventi che Roma aveva vissuto dopo la conquista di Cartagine e dell'egemonia mediterranea, dai tumulti dei Gracchi alla guerra tra Mario e Silla, ma su tali eventi seppe imporre il suo personale sigillo nel contesto della corsa che lo avrebbe portato al ruolo di Dictator. Per farlo Cesare aveva dovuto scegliere, a un certo punto, di giocare a dadi col destino. Di mettere la storia alla prova con un solo atto. Di mettere in movimento lo spirito del mondo.

E tutto ciò avvenne tra il 10 e l'11 gennaio del 49 a. C., sulla scia dell'avanzata oltre il Rubicone delle aquile della Legio XIII. Il pomerium era violato, la storia accelerava, il percorso voluto da Cesare si apriva. Percorrerlo sarebbe costato a Roma lutti senza precedenti, battaglie da decine di migliaia di morti tra eserciti fatti di compatrioti, che uniti avrebbero potuto moversi da conquistatori fino ai confini estremi del mondo conosciuto. Come Alessandro Magno prima di lui, come Timur Beg e Napoleone dopo di lui, Cesare volle portare fino in fondo la sua campagna personale per il potere e la gloria, sovrapponendola alla gloria e al bene del suo popolo. "Cesare" non sarebbe diventato il nome associato al potere per antonomasia se il suo più celebre portatore non avesse avuto il coraggio di compiere un'azione di rottura simile. Preparandosi al redde rationem con la storia senza alcuna certezza di uscirne vincitore, Cesare programmò e scommesse al tempo stesso, ma il suo fu un calcolo vincente.

Non sempre i grandi azzardi nella storia sono riusciti e forse per questo ogni mossa di radicale rottura si richiama alla storia del Rubicone, a quel passaggio di un fiume piccolo e simbolico che aprì a un nuovo capitolo della storia di Roma. Solo che non dappertutto c'è un Cesare dotato di una mente capace di percorrere gli eventi sul ponte di comando. Non ovunque una Legio XIII Gemina pronto a seguirlo fino alle estreme conseguenze. Quasi mai, nei grandi decisori, la percezione della responsabilità di poter effettivamente evolvere e condizionare il destino. Una forza che spaventa. Ma che mette alla prova i comandanti nell'ora del cimento. E chi nella propria vita, anche su esperienze di vita quotidiana o comune, si trova di fronte alla necessità di attraversare un suo, personale Rubicone prova lo stesso brivido e lo stesso pensiero: perchè in fin dei conti il Rubicone ci ricorda che siamo tutti, con diversi gradi di influenza, attori senzienti capaci di condizionare, se non addirittura stravolgere, la realtà a noi circostante.

E che ognuno, anche nelle scelte più radicali, rimane in fin dei conti sempre artefice del proprio destino.

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