Cultura e Spettacoli

La Cina era vicina Quando i gesuiti sognavano Pechino

Non l'abbiamo inventata nel XXI secolo la globalizzazione. Magari l'abbiamo resa di massa ma il gioco del lontano è bello le élite europee lo giocano da un bel po'. Vasi, stampe, lacche. La seconda metà del '600 e i primi anni del '700 sono pieni di «cineserie». L'Europa (ri)scopre il mondo dietro la Grande muraglia e se ne innamora. Anche il mondo dietro la Grande muraglia (ri)scopre l'Europa e se non se ne innamora si lascia corteggiare. Come tutti i colpi di fulmine fu in parte basato sull'autoinganno. Spesso le «mediazioni» culturali per avere successo devono esserlo. Per rendersene conto niente di meglio che L'imperatore della Cina di padre Joachim Bouvet (1656-1722) pubblicato da Guanda (pagg.174, euro 14, introduzione di Michela Catto). Ai suoi tempi (1697) fu un bestseller ma non veniva tradotto in Italiano dal 1710. Colpa anche della satira feroce che Voltaire riservò al suo autore nel Dizionario filosofico del 1764. Nel 1764 infatti era diventato chiaro che l'imperatore cinese era un signore dispotico quanto nessun sovrano europeo e che mai dalle parti di Pechino si era pensato di convertirsi al cristianesimo come avevano fatto credere i padri gesuiti. Ma le burle voltairiane sono figlie del senno del poi. Meglio parlare del sogno ecumenico seicentista, dei saggi gesuiti che con una bugia qua e una là volevano creare un mondo di pace.

Correndo l'anno 1685, partiva per la Cina a bordo del vascello Oiseau una missione composta da 6 gesuiti (tra cui Bouvet) che erano anche scienziati, matematici ed astronomi. Il piano era dell'astuto ministro delle finanze Colbert. La Francia in ascesa, come il suo Re Sole, voleva rompere il monopolio portoghese sui commerci cinesi. Il «dono» francese convinse l'imperatore Kangxi che dall'Europa arrivavano cose piuttosto utili. Concesse un editto di tolleranza per il cristianesimo. In cambio ne aveva ottenuto i calcoli per il calendario, un notevole sviluppo della sua artiglieria e un aiuto fondamentale per trattare le questioni di confine con la Russia. Ovviamente di convertirsi al cristianesimo non ne aveva la più lontana intenzione. E se ne accorse il vicario apostolico Charles Maigrot. Condannò tutti gli accomodamenti che i gesuiti avevano fatto tra dottrina confuciana e cristianesimo. Proprio in risposta nacque il testo di Bouvet, prontamente indirizzato a Luigi XIV per convincerlo che lui e Kangxi fossero due gocce d'acqua: «Ha la fortuna di assomigliarvi in diversi punti, e ha l'uguale vantaggio sui principi infedeli che Luigi il Grande ha su quelli cristiani». Insomma la Francia e la Cina diventavano due alleate inevitabili tra cui disegnare un ponte ideale e materiale. O ancora: «Il Principe ci dona l'occasione di che egli sarà forse un giorno il distruttore dell'idolatria in Cina, per assomigliare ancora di più a Vostra Maestà...». Finì come doveva finire. Il libro fu un bestseller per intellettuali, una sorta di Libretto rosso di fine '600. Poi la Cina andò per la sua strada: il successore di Kangxi revocò la tolleranza, rallentò le riforme e perse il treno della modernità. La Francia inseguì fasti troppo grandi, per poi posare il collo della sua monarchia in ghigliottine modernissime. I Gesuiti continuarono a coltivare una via, molto intellettuale, alla politica. Che li fece poi espellere dalle corti di mezza Europa. Rimasero però degli splendidi saloni «à la cinese» molte regge.

Vorrebbero forse ricordarci, silenziosamente, quanto è difficile mediare tra culture.

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