Cultura e Spettacoli

Clare Boothe Luce, l'ambasciatrice di salotto e di governo

Bella, mondana, scaltrissima e soprattutto anticomunista. Fra il '53 e il '56, in piena guerra fredda, fu il volto degli Stati Uniti in Italia. Il suo "interventismo" fu vincente

Clare Boothe Luce, l'ambasciatrice di salotto e di governo

Quando Dwight Eisenhower, dopo essere stato eletto presidente degli Stati Uniti, la convocò al Commodore Hotel di Washington per proporle l'incarico di ambasciatrice a Roma, Clare Boothe Luce spiegò perché quella proposta non andava bene. Disse al presidente che la sua nomina sarebbe stata aspramente criticata per diverse ragioni: «La prima è che sono una donna e l'Italia è un paese maschilista che non vedrà di buon occhio un ambasciatore donna; la seconda è che sono cattolica e molti potrebbero sostenere che subirei l'influenza del Vaticano; la terza è che sono la moglie di un potente editore e si potrebbe sostenere che le riviste di mio marito non riferirebbero in maniera obiettiva le notizie provenienti da Roma; la quarta, infine, è che sono fieramente anticomunista e la sinistra italiana, un terzo della popolazione, non mi concederebbe né simpatia né credito». “Ike” ci pensò un attimo, poi decise che tutto ciò poteva essere letto come altrettante motivazioni a favore dell'incarico.

Così Clare Boothe Luce diventò la prima ambasciatrice donna degli Stati Uniti inviata, in piena guerra fredda, in un Paese come l'Italia che stava affrontando la sfida della ricostruzione postbellica. Era il 1953, la stagione del centrismo degasperiano stava esaurendosi. La Luce era una bella signora cinquantenne, bionda, elegante, gli occhi celesti. Secondo Indro Montanelli era «molto bella, molto più bella di quanto non dicano le fotografie». Ma, bellezza a parte, era una donna già famosa, nota come giornalista e scrittrice - una sua commedia tutta al femminile, Women , era stato un successo clamoroso che avrebbe poi ispirato alcune trasposizioni cinematografiche - ma anche come donna politica fredda, abile, volitiva, ultraconservatrice e repubblicana. Eletta al Congresso, si era fatta subito notare per la propria intransigenza. Roosevelt la definì «una affascinante ragazza dalla lingua velenosa». Il suo anticomunismo era viscerale: per lei l'ideologia comunista era assimilabile al «cancro più mortale che avesse mai colpito lo spirito umano».

Su questa donna che rappresentò gli Stati Uniti in Italia dal 1953 al 1956 è uscita una monumentale biografia in due tomi, frutto di decenni di ricerche, scritta da Sylvia Jukes Morris, una storica americana di origine inglese moglie di Edmund Morris, biografo di Ronald Reagan. Il secondo volume, recentemente pubblicato, Price of Fame. The Honorable Clare Boothe Luce (Random House, pagg. 735, dollari 35), fa seguito a Rage for Fame. The Ascent of Clare Boothe Luce , apparso nel '97, e parte dalla sua rielezione al Congresso come rappresentante del Connecticut nel '42, giungendo fino alla morte.

Quando giunse in Italia si era alla vigilia delle elezioni del giugno '53 che si svolsero nel clima arroventato dalle polemiche sulla cosiddetta «legge truffa» studiata per «blindare il centro». La sua nomina era stata ufficializzata dalla Casa Bianca il 7 febbraio, al termine di un sotterraneo lavorio diplomatico alla fine del quale De Gasperi, dopo che l'ambasciatore italiano a Washington Alberto Tarchiani gli aveva ricordato l'amicizia della Luce con il presidente degli Stati Uniti e il fatto che il marito era l'editore di tre riviste fra le più diffuse nel mondo ( Time , Life , Fortune ), aveva risolto il problema con una battuta: «Se è così, ben venga!».

Giunta in Italia sbarcando a Napoli dall'«Andrea Doria», Clare Boothe Luce inaugurò una stagione di «interventismo» che le alienò le simpatie di molti politici di lungo corso. Diffidava del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e di gran parte della classe politica democristiana, troppo incline, a suo avviso, alle seduzioni di una politica neutralista e progressista. Frequentò giornalisti come Leo Longanesi e Indro Montanelli il quale le propose persino di dar vita a un'organizzazione segreta armata pronta a intervenire nel caso di una vittoria elettorale dei comunisti. Ma frequentò anche politici come l'ex ministro fascista Dino Grandi, del quale fu amica e al quale chiese consigli e giudizi sulla classe politica italiana, o come Edgardo Sogno. Sostenne la necessità di mettere fuori legge il Pci e si adoperò per ridurre il potere del sindacato comunista nelle fabbriche. Soprattutto, ebbe un ruolo fondamentale per ottenere il ritorno di Trieste all'Italia.

Il suo anticomunismo viscerale nasceva dall'idea che il comunismo fosse non soltanto un'ideologia, ma anche una religione ateista contro cui sarebbe stato necessario combattere non tanto e non solo dando aiuti economici alla popolazione italiana ma anche, e soprattutto, sul terreno delle idee e della cultura politica. Cattolica convinta - si era convertita dopo la crisi che aveva attraversato per la morte in un incidente stradale della giovane figlia - fu bonariamente ripresa da Pio XII il quale, al termine di un incontro, dopo aver ascoltato le sue esternazioni contro il comunismo e a favore di un cattolicesimo integrale, le disse: «Signora cara, si ricordi che anch'io sono cattolico e non ho bisogno di essere convertito».

Negli anni trascorsi a Roma questa donna, sinceramente amica dell'Italia, non si occupò soltanto di politica. La sua passione per il cinema - fu grande estimatrice di Anna Magnani - ne fece una sponsor negli Stati Uniti della cinematografia italiana. Fu anche una regina dei salotti mondani. In un gustosissimo libro memorialistico intitolato Party! L'arte del divertimento (Elliot, pagg. 270, euro 17,50), Elsa Maxwell, la «pettegola d'America» che le fu molto amica e propiziò il suo secondo matrimonio facendole incontrare Henry Luce, sostiene che era una delle donne più piacevoli che avesse mai conosciuto, «una conversatrice brillante e capace di avvincere l'attenzione del suo uditorio» e racconta come fosse riuscita, con i suoi ricevimenti, a portare dalla propria parte quell'ambiente aristocratico di Roma che l'aveva accolta con diffidenza.

Quando lasciò l'Italia, nell'aprile del '56, aveva 53 anni. Sarebbe vissuta fino all'87. La biografia della Morris racconta in dettaglio, occupandosi della sua vita privata e pubblica, anche questi decenni, mostrando come la Luce, divenuta una icona del conservatorismo americano, non fosse affatto uscita di scena. Nel '64, a esempio, fu la grande sostenitrice della campagna elettorale di Barry Goldwater, sconfitto da Lyndon Johnson, ed ebbe incarichi anche sotto la presidenza di Ronald Reagan. Il suo nome negli Stati Uniti è oggi legato a una scuola di formazione delle donne conservatrici, e continua a essere un mito. Ed è un nome al quale anche l'Italia deve qualcosa.

Anzi, molto.

Commenti