Cultura e Spettacoli

La "grande" stampa si dimentica il giorno del ricordo

Il "Giorno del ricordo" dedicato alle foibe e all'esodo giuliano-dalmata resta lì orfano spaesato nel calendario dell'oblio

Ha malinconicamente ragione Marcello Veneziani, che sul Giornale di ieri rifletteva sul fatto che «le foibe finirono nell'omertà sin da quando furono perpetrate». Si è sempre preferito, e lo si preferisce ancora, non parlarne. Cosa facile peraltro in un'Italia in cui le ricorrenze nazionali, dal 4 novembre al 17 marzo, galleggiano semisommerse nel nostro passato. In particolare il «Giorno del ricordo» dedicato alle foibe e all'esodo giuliano-dalmata «resta lì orfano spaesato nel calendario dell'oblio». Infatti ieri, 10 febbraio, la grande stampa si è dimenticata di ricordare la tragedia immane degli infoibati dai titini (e fa strano che Tito sia ancora oggi Cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana...) e dei nostri connazionali costretti a lasciare le proprie case nei territori orientali diventati jugoslavi alla fine della seconda guerra mondiale. Oggi, forse, i quotidiani e i tg daranno conto delle scritte vergognose apparse sui muri contro gli infoibati. E, forse, citeranno qualche passaggio degli interventi istituzionali per la commemorazione del «Giorno del ricordo» al Senato. Ma ieri i grandi media hanno taciuto. Il Corriere delle sera ha pubblicato una fotonotizia del «sasso» dedicato agli infoibati, a Marghera, imbrattato con una falce e martello (e stella a cinque punte...). Nient'altro. La Repubblica zero righe. Il Messaggero zero righe. La Stampa ha pubblicato nella sezione Cultura una paginata su un libro che parla della storia di un ebreo scampato ai lager (e non è uno scherzo). E con la rassegna stampa ci fermiamo qui. Non si può, e non si deve, pretendere che la tragedia delle foibe sia ricordata a livello istituzionale, giornalistico, televisivo ed editoriale con la stessa sollecitudine e la stessa copertura riservata alla «Giornata della Memoria» in commemorazione delle vittime dell'Olocausto. E sarebbe offensivo per tutti i sopravvissuti e i famigliari delle vittime azzardare una squallida conta dei morti delle due catastrofi. La Shoah non ha paragoni nella storia dell'umanità, e un unicum anche nel ricordo deve restare. Eppure ciò che accadde alla fine della Seconda guerra mondiale lungo il nostro confine orientale rimane una delle pagine più tristi e rimosse della storia d'Italia. Un periodo terrificante che ha coinvolto decine di migliaia di italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia. Certo, di passi in avanti ne sono stati fatti tanti rispetto soltanto a un paio di decenni fa quando (chi scrive lo ricorda bene) i manuali di storia del liceo e d'università dedicavano ben poche righe alle foibe mentre i dizionari alla voce «Foiba» si limitavano a riportare il significato di «grandi inghiottitoi, o pozzi, tipici della Venezia Giulia»... Ma non basta. L'Italia ha il dovere di coltivare le proprie memorie, tutte. E di affrontare in modo condiviso - come è stato detto ieri mattina in Senato - «le cause e responsabilità di quanto accaduto, per superare l'odio e le discriminazioni». E tutto ciò lo devono fare le istituzioni, lo devono fare i singoli politici (ieri il sindaco di Milano Giuliano Pisapia è clamorosamente mancato alla cerimonia per il «Giorno del Ricordo», mentre alcuni colleghi del suo partito, Sel, di recente hanno tenuto vergognose conferenze negazioniste) e lo deve fare anche la stampa. La carta è poca, è vero, e le notizie sono tante. Ma anche le vittime delle foibe lo sono.

E la memoria non ammette distrazioni.

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