Cultura e Spettacoli

Così Edmund Husserl ripulì le radici d'Europa dal terriccio relativista

Il filosofo tedesco ha riflettuto sulla crisi dell'Occidente Un saggio di Mario Bucci rivela l'attualità del suo pensiero

Così Edmund Husserl ripulì le radici d'Europa dal terriccio relativista

Fra le voci più alte che esprimono e riflettono la crisi della civiltà europea fra le due guerre, quella di Edmund Husserl è la più drammatica, la più significativa, la più profonda. Il senso tragico che pervade la sua consapevolezza circa il destino dell'Europa, e quello dell'intera civiltà occidentale, è ancora oggi una fonte di eccezionale decifrazione dei caratteri fondamentali del XX secolo. Nessuno più di lui ha delineato con più lucidità, per quanto ci riguarda, la logica di quel processo culturale caratterizzato dall'indissolubile intreccio fra nichilismo e libertà che designa in modo ineluttabile l'avvento della modernità, il cui flusso trova, proprio negli anni Trenta del Novecento, il suo intralcio più emblematico, vale a dire l'avvento e il consolidarsi dei totalitarismi. La riflessione filosofica di Husserl è centrale per capire le cause del crollo della società liberale di fronte alla barbarie totalitaria, dato che questa si configura innanzitutto quale risposta “religiosa” alla insignificanza del mondo generata dalla prosaicità dello spirito borghese.

Queste considerazioni emergono con forza leggendo la felice sintesi di Mario Bucci, La Crisi delle scienze europee di Husserl (Carocci, pagg. 207, euro 21,50) che non trascura di porre al centro della sua riflessione proprio l'indissolubile nesso che vi è in Husserl tra filosofia e metapolitica. Scrive Bucci: ne La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936) «il sapere scientifico si salda con la riflessione sulla storia... dell'Europa e della sua cultura» e ciò perché il filosofo tedesco tematizza il problema della destituzione di senso provocata dal «cieco» sviluppo del razionalismo moderno. Questo ha ridotto la realtà ad un unico principio di spiegazione, che ha trovato nell'illuminismo, e poi nel positivismo, la sua espressione filosofica più confacente. L'esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo è stata determinata dallo sviluppo delle scienze esatte è stata la causa dell'allontanamento dai problemi decisivi di una vera umanità. Per Husserl, osserva ancora Bucci, la scienza, limitandosi allo studio oggettivo dei «fatti», non è stata in grado di dire nulla «intorno alle questioni generali che concernono il senso e i valori che devono orientare le scelte umane, individuali e collettive».

Di qui la necessità di rispondere con una filosofia capace di dar vita ad una conoscenza autenticamente universale. Naturalmente non si tratta, per il filosofo tedesco, di abbandonare la strada della razionalità apertasi con Galileo e Cartesio, ma di rifondarla sulla base di una comprensione più ampia, contemplando quello che egli chiama «il mondo-della-vita». La causa del fallimento del razionalismo non sta nella sua essenza, ma nella sua manifestazione esteriore, nel suo decadere a «naturalismo» e a «obiettivismo». Ora, solo la cultura europea può emendarsi di questo errore. Essa potrà in tal modo riplasmare l'esistenza politica e sociale dell'umanità perché solo l'Europa è originariamente «filosofica», dato che le altre formazioni storiche non sono state pervase dal puro atteggiamento teoretico del conoscere per conoscere, derivante dalla filosofia greca. Si tratta cioè di mostrare come l'Europa sia nata da idee razionali, ovvero dallo spirito della filosofia. Husserl, in altri termini, concepisce lo spirito europeo come spirito universale, come forma sub specie aeterni (idea già affermata, a titolo diverso, anche da Heidegger, Ortega y Gasset e, precedentemente, da Leibniz).

Noi, afferma Husserl «attribuiamo alla cultura europea la posizione relativamente più elevata fra tutte le culture storiche perché la consideriamo la prima realizzazione di una norma assoluta di sviluppo, destinata a rivoluzionare ogni altra cultura in fieri». E ciò perché «la civiltà europea è per essenza una cultura della libertà e non può irrigidirsi in nessun quadro storico-concettuale determinato... può soltanto corrispondere al suo impulso originario, quello di guardare direttamente e in piena libertà il mondo. Tale impulso però non è puramente conoscitivo, ma anche etico».

Rileviamo così che l'odierna discussione sulle radici culturali dell'Europa - discussione che investe l'identità stessa della civiltà occidentale - ha reso di nuovo straordinariamente attuali le riflessioni di Husserl, secondo cui la cultura europea ha la capacità di rinnovarsi continuamente senza abbandonare mai, nel suo svolgimento, nulla di essenziale. Egli invita a concentrarsi proprio sui suoi tratti originari, mostrando che la sua la forza creativa consiste in una esausta rielaborazione della sua tradizione.

In conclusione il filosofo tedesco respinge l'idea di un tramonto ineluttabile dell'Occidente, come aveva affermato qualche anno prima Oswald Spengler. Anzi, egli sembra rispondere con durezza al sarcasmo di Nietzsche, che aveva irriso al paradosso di un Europa che, pur essendo solo una «penisoletta avanzata dell'Asia», vorrebbe rappresentare a tutti i costi «il progresso degli uomini».

Ancora più sembra negare, con straordinario anticipo, ogni valore all'insulsa credenza relativistica, oggi tanto in voga, del «politicamente corretto», per la quale tutte le culture e tutte le civiltà si equivalgono.

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