Cultura e Spettacoli

Così l'Europa ha smesso di credere nei suoi valori

L'ideologia dominante predica il disprezzo per la nostra storia e la romantica accettazione dell'Altro. Il risultato? Un disastro reso esplosivo dall'immigrazione

di Alain Finkielkraut

N el 2005, come se niente fosse, alcuni parlamentari francesi hanno creduto di poter esigere per via legislativa che i programmi scolastici sottolineassero il ruolo positivo della presenza francese nel mondo, in particolare in Nord Africa. L'iniziativa ha fatto cilecca. La reazione del corpo insegnante è stata così ostile che il provvedimento è stato abrogato subito dopo essere stato approvato. Perché la Francia è a immagine dell'Europa e l'Europa ha smesso di credere nella sua vocazione (passata, presente o futura) di guida dell'umanità verso la realizzazione della sua essenza. Per l'Europa non si tratta più di convertire chicchessia (conversione religiosa o riassorbimento della diversità delle culture nella cattolicità dei Lumi), ma di riconoscere l'altro attraverso l'ammissione dei torti compiuti nei suoi confronti. L'Europa è tenuta, più in generale, ad accogliere ciò che essa non è, cessando d'identificarsi con ciò che essa è. I suoi chierici, sul finire del XX secolo, non prendono le difese dell'Aufklärung (illuminismo, ndr) contro il romanticismo, ma prescrivono una cura da cavalli contro ogni hybris: il romanticismo verso gli altri . Se l'Europa deve denazionalizzarsi e rinunciare di slancio a ogni predicato identitario, è perché possano svilupparsi liberamente le identità che la sua storia ha maltrattato. E tale oblazione, aggiunge Alain Badiou, è la sua stessa liberazione; tale apostasia rappresenta la sua uscita dalle tenebre. «Che gli stranieri ci insegnino, se non altro, a diventare stranieri a noi stessi, a progettarci fuori di noi, tanto da non rimanere prigionieri di questa lunga storia occidentale e bianca che volge al termine, e dalla quale non c'è più da aspettarsi che la sterilità e la guerra. Contro una simile aspettativa catastrofica, securitaria e nichilista, salutiamo quel che c'è di straniero nel mattino.» Perché faccia finalmente giorno, bisogna quindi smettere di considerare l'immigrazione di popolamento come una minaccia, una sfida o un problema, per vedervi invece una possibilità di redenzione, e sopprimere tutte le leggi che la reprimono. La Francia, l'Europa, l'Occidente hanno molto peccato nel voler piegare l'Altro alla ragione: ci viene offerta l'occasione di essere purificati da noi stessi (e dalle nostre colpe passate) a opera dell'Altro. Robinson, suggerisce qui Badiou, non è più padrone del mondo, né sovrano nel proprio regno. Non è più condannato a dominare: Venerdì lo destituisce e, così facendo, lo salva.

Alle passioni e ai pensieri xenofobi, Badiou e Vattimo oppongono l'esercizio di ciò che il filosofo inglese Roger Scruton ha definito oicofobia : l'odio della casa natale, e la volontà di disfarsi di tutto il mobilio accumulato nei secoli. Tale rifiuto non è un capriccio da filosofi. Anche la burocrazia si unisce al coro. I guardiani stessi della casa sono oicofobici . Nel 2011, negli istituti scolastici dell'Unione europea è stato distribuito un diario: vi comparivano tutte le festività religiose, con la notevole eccezione delle feste cristiane. L'assenza ha fatto scandalo. I suoi responsabili si sono subito impegnati a rimediare alla dimenticanza. Ma verrà il giorno in cui, per non offendere nessuno, le feste di Natale diventeranno, nel discorso ufficiale, «le feste di fine anno» o, più poeticamente, «le feste d'ingresso nell'inverno».

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Nell'era della diversità, il popolo si divide in due componenti che si vanno allontanando drammaticamente una dall'altra. I francesi che non osiamo più definire di stirpe e i francesi di origine straniera che erano stati al gioco dell'assimilazione s'insediano nelle zone rurali o periurbane. Vivevano «oltre la tangenziale», ora vivono oltre la banlieue. Nel suo libro Fractures françaises , il geografo Christophe Guilluy spiega questo separatismo dal basso con il passaggio da un'immigrazione di lavoro a un'immigrazione familiare, che ha fatto perdere agli autoctoni lo status di referenti culturali che avevano prima dell'immigrazione. Non hanno più il ruolo prescrittivo di un tempo. Quando l'Internet café si chiama «Bled.com» e la macelleria o il fast-food (o entrambi) sono halal , questi popoli stanziali fanno l'esperienza sconcertante dell'esilio. Quando vedono moltiplicarsi le conversioni all'islam, si chiedono in che luogo abitano. Non si sono mossi, ma intorno tutto è cambiato. Hanno paura dello straniero? Sono chiusi nei confronti dell'Altro? No, hanno la sensazione di diventare stranieri a casa propria. Incarnavano la norma, ora si ritrovano ai margini. Erano la maggioranza in un ambiente familiare, eccoli minoritari in uno spazio su cui hanno perso il controllo. È a questa situazione che reagiscono andando a vivere altrove. Ed è per non subirla di nuovo che si mostrano generalmente ostili alla costruzione di alloggi popolari nei comuni in cui si sono trasferiti. Più l'immigrazione aumenta, più il territorio si frammenta. Sappiamo da tempo che i ricchi tengono i poveri a distanza e che l'imborghesimento o anche il solo accesso alla classe media si traducono quasi sempre in un trasloco. Ma ecco che alcuni poveri (operai, impiegati, precari, lavoratori part-time) si allontanano da altri poveri. E al tempo stesso escono dalla retta via politica con cui finora s'identificavano: avendo la sensazione che la sinistra non tenga conto del loro disagio, la abbandonano in massa. Si consuma una rottura silenziosa fra questa esperienza proletaria e il grande racconto di lotta ed emancipazione che si presumeva dovesse farsene carico. Lo stesso fenomeno si osserva in Gran Bretagna, in Germania e nei paesi scandinavi, ma secondo la fondazione Terra Nova, uno dei think tank più dinamici del Partito socialista francese, la sinistra sbaglierebbe a prendersela o a sentirsi in colpa. È in voga la fiducia, non la cattiva coscienza, perché sta emergendo una nuova coalizione, costituita da diplomati, giovani, minoranze e donne in lotta per l'uguaglianza. Questa coalizione arcobaleno rappresenta la Francia di domani: una Francia che vuole il cambiamento, che è tollerante, aperta, solidale, ottimista e intraprendente. A questa Francia risolutamente rivolta verso il futuro, si oppone la Francia di Maurice Barrès e di Amélie Poulain, la Francia che rimpiange i bei tempi andati, quando i francesi di stirpe frequentavano solo i propri simili, la Francia color seppia in lutto per la sua omogeneità perduta, la Francia freddolosa che vorrebbe vivere in disparte, la Francia ossidionale (assediata, ndr) che percepisce ogni nuovo venuto come un invasore, la Francia piagnucolosa che «si stava meglio prima», la Francia livida secondo cui «la Francia è sempre meno Francia». Ora, le classi popolari si sono unite, in maggioranza, a questa Francia. Hanno abbandonato il campo del progresso, vale a dire dell'umanità in marcia verso la sua unificazione, per quello del ripiegamento protezionista e particolarista. Insomma, il popolo ha deluso la sinistra: si è fossilizzato nella nostalgia, è diventato reazionario.

Prendendo alla lettera l'ironica soluzione preconizzata da Bertolt Brecht all'indomani della prima insurrezione operaia in un paese dell'Europa comunista, Terra Nova ha deciso di sciogliere il popolo e di eleggerne un altro. Lo ha fatto nell'euforia della battaglia contro le forze del male, e tanto più a cuor leggero in quanto la decadenza morale di quello che un tempo era il popolo si accompagna molto opportunamente a un declino sociologico. Se diamo retta a Terra Nova, infatti, la nuova Francia e` destinata a vincere la battaglia dei numeri. I brontoloni invecchiano, l'evoluzione demografica li marginalizza, hanno i giorni contati.

Le elezioni francesi del 2012 hanno parzialmente smentito questa analisi. Un gran numero di operai e di impiegati ha punito al secondo turno il «presidente dei ricchi» riversando i propri voti sul candidato della sinistra. Sta di fatto che il Front national è oggi il primo partito operaio di Francia. Ma soprattutto coloro che denunciano questa evoluzione, i simpatici bobo (i borghesi radical chic francesi, ndr), praticano in prima persona una forma di isolamento quando scelgono il posto in cui vivere e, ancor più, quando scelgono la scuola a cui iscrivere i figli. Di fatto, non sono meno separatisti dei ricchi che aborrono, né del popolo che, ripiegando su salame e vino rosso, ha tradito la propria missione. Non meno incoerenti che giudicanti, si proteggono da ciò che affermano di volere. Esaltano l'abolizione delle frontiere ma si curano di erigere le proprie. Celebrano la mescolanza, ma rifuggono la promiscuità. Tessono le lodi del meticciato, ma il loro massimo impegno è farsi in quattro per ottenere la regolarizzazione della tata o della collaboratrice domestica.

L'Altro, l'Altro, ripetono senza tregua questa parola d'ordine, ma è nella comodita` del «tra noi» che coltivano l'esotismo. Sono cinici? Sono doppi? No, si prendono in giro da sé. Credono a ciò che dicono. Solo che ciò che dicono li inganna e li confonde trasfigurando o camuffando i dispositivi prosaici del mondo reale. All'esperienza che vivono sostituiscono una narrazione edificante e sono i primi a essere raggirati da questo gioco di prestigio. Mobili, flessibili, fluidi, rapidi, scelgono come nume tutelare Mercurio, il dio con le ali ai piedi, proprio mentre gli immobili dove abitano sono protetti come casseforti da una sequenza di codici numerici e citofoni. L'eterogeneità di cui s'infatuano, l'apertura di cui si vantano sono essenzialmente turistiche. Sono grati alla tecnica per aver abolito le distanze e con queste l'opposizione fra vicino e lontano. Tutto ciò che recava impresso il timbro misterioso dell'altrove è disponibile qui e ora: tutte le musiche, tutte le cucine, tutti i sapori, tutti i prodotti e tutti i nomi di battesimo del mondo sono sugli scaffali. L'epoca del blinis o della mozzarella è anche quella in cui non c'è bisogno di essere russi o italiani per chiamare i propri figli Dimitri o Matteo: basta servirsi da sé. Nel momento stesso in cui il mondo comune si frantuma e si etnicizza, il consumo si globalizza e in nome di questo i bobo fanno la morale a quello. Amano considerare la loro deambulazione golosa lungo le corsie del grande bazar come una vittoria del nomadismo sui pregiudizi sciovinisti. Imprimono così il sigillo dell'ideale alla società delle merci. Si tratta di una morale poco convincente perché si accontenta delle parole, e questo, per una morale, è un peccato capitale.

© Editions Stock, 2013

© 2015 Ugo Guanda Editore

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