Cultura e Spettacoli

Così l'Inghilterra perse tutto al grande gioco afghano

C he cos'è l'Afghanistan? Niente! Perché l'Afghanistan è solo uno scatolone di pietre e di polvere. Grande per la sua estensione territoriale ma trascurabile per la sua scarsa densità demografica e la povertà della sua economia (ricchezze minerarie di difficile estrazione, un'agricoltura di sussistenza, i cui unici proventi remunerativi sono dovuti alla coltura dell'oppio). Che cos'è l'Afghanistan? Tutto! Perché l'Afghanistan, che si affaccia su Iran, subcontinente Indiano, Cina, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan (già province dell'Impero zarista, poi Repubbliche sovietiche, ora grandi produttrici di gas naturale e petrolio), costituisce il «crocevia dell'Asia Centrale» e il ponte naturale tra Eurasia e Oriente.
Questa straordinaria posizione geopolitica ha fatto della «Terra degli Afghani» un'area di eccezionale importanza strategica, per il cui possesso Stati europei e Potenze regionali furono sempre disposti a pagare un alto tributo di sangue. Sulle sue montagne e i suoi altopiani si scontrarono le armate dell'Impero mongolo, persiano, moghul. In quelle stesse regioni desolate si fronteggiarono poi Russia e Inghilterra nel «Grande Gioco» di competizione politica la cui posta era costituita dal possesso dell'India. Nel 1839, il «Leone britannico» decise di trasformare quel conflitto a bassa intensità in guerra guerreggiata e di occupare l'Afghanistan per impedire all'«Orso russo» di allargare le sue fauci verso il bacino dell'Indo e il Golfo del Bengala. Quella scelta fu la premessa della più tragica pagina della storia coloniale inglese, oggi narrata da William Dalrymple in un libro appassionante (Return of a King: The Battle for Afghanistan, 1839-42, Bloomsbury).
L'operazione militare fu viziata da grande presunzione e da una totale ignoranza della situazione politica afghana. Convinta di poter conquistare con il minimo sforzo un Paese dilaniato da conflitti etnici e tribali e di sfruttare, com'era accaduto in India, la collaborazione degli stessi nativi per consolidare il suo dominio, la «Perfida Albione» si trovò di fronte a una situazione del tutto inaspettata. Divisi su tutto gli Afghani erano uniti in una sola cosa: cacciare gli infedeli dalla loro patria. L'egemonia del Regno Unito su Kabul durò appena due anni. Nel 1841, la Jihad proclamata dal clero musulmano contro gli invasori terminò con il massacro della missione britannica e costrinse le truppe della Regina Vittoria a una precipitosa ritirata contrassegnata da atti di bestiale rappresaglia verso la popolazione (massacri di civili, stupri di massa).
Tornati nella capitale dell'Emirato nel 1878 e nel 1879, gli inglesi furono nuovamente costretti ad abbandonarla. Da quel momento, Londra rinunciò ad annettere l'Afghanistan al suo Impero. Nel 1904, Lord Kitchener, (divenuto Comandante in capo dell'esercito anglo-indiano, dopo aver debellato la rivolta mahdista in Sudan), dichiarò di non voler impegnare le sue truppe in un conflitto senza fine contro trecentomila guerriglieri afghani «la cui perfidia e il cui spirito bellicoso era paragonabile a quello di uno scorpione del deserto». Anche durante il secondo conflitto mondiale la Gran Bretagna si astenne da intervenire in Afghanistan che Stalin e poi Hitler volevano trasformare nel trampolino di lancio per l'invasione dell'India.


Questa lezione del passato non fu invece compresa dall'Urss che occupò Kabul nel 1979 e forse non è stata meditata sufficientemente dagli Stati Uniti e dai suoi alleati ancora oggi impantanati nel tragico «Grande Gioco» afghano.

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