I l libro si chiama The father. Il padrino dei padrini (Roma, Newton Compton, pagg. 478, euro 14,9) e l’autore Vito Bruschini lo spiega così: «Se potessi sintetizzare in una battuta le intenzioni di questo mio romanzo, direi che in principio c’è stato il Padrino, ma prima di lui il Padre. Permettendomi un accostamento ardito, il principe Ferdinando Licata può essere considerato l’antenato del personaggio di Mario Puzo. Il libro infatti è essenzialmente il racconto dell’origine del fenomeno mafioso in Sicilia, attraverso la saga familiare del principe Licata, il padre del titolo». Per una volta, si può credere alle parole dell’autore. In questo romanzone d’altri tempi, tutti i debiti sono riconosciuti, e non sono pochi gli omaggi, che la critica laureata chiama pastiche admiratif. Bruschini è di mestiere giornalista ma ha lavorato a lungo per il cinema e nel teatro. Al cinema è stato assistente di Ruggero Deodato, Guido Zurli e Vittorio De Sisti: il buon cinema di genere degli anni Settanta. A teatro ha messo in scena una fortunata pièce sul primo bombardamento di Roma. Da giornalista, dirige un’agenzia stampa per gli italiani nel mondo. Tutte queste esperienze si riflettono nella saga di don Ferdinando Licata, discendente di un bisnonno Frederick Leicester, innamoratosi della Sicilia occidentale alla fine del Settecento. Dall’aristocrazia inglese Licata eredita non soltanto la statura fisica, ma anche quella morale; e la cortesìa nel tratto, e i modi impeccabili. Partecipa, e qui Bruschini non inventa niente, alla riunione in cui 40 latifondisti, tutti di sangue blu, si riuniscono e si scambiano i timori per le tensioni che attraversano il paese e le scarse rassicurazioni da Roma.
Nel 1920, si costituisce l’Interprovinciale, nucleo primigenio di Cosa Nostra. Il racconto di Bruschini comincia a delineare i personaggi di un’autentica saga, che parte dagli anni Venti-Trenta, quelli delle leggi razziali e della stretta del fascismo sulla mafia. È proprio in quel periodo che don Ferdinando Licata intuisce la necessità di trasferirsi altrove: e l’altrove è l’America. Don Licata sposta uomini e interessi nell’America del jazz e di Lucky Luciano, con cui naturalmente intrattiene rapporti, sempre all’insegna del codice d’onore. Se il don Ferdinando Licata era in Sicilia «U Patri», in America diventa «The father»: uomo che, dietro il portamento se possibile ancora più compassato che in gioventù, svela una violenza inaudita. La disinvoltura con cui Bruschini racconta le peggiori efferatezze è tra i punti di forza del suo romanzo; oltre a una capacità di costruzione della scena che giusto da un regista si poteva aspettare. The father si chiude nel ’43, con lo sbarco degli Alleati nell’isola - pagine tra le più commoventi della narrazione, dove si svelano gli ultimi segreti seminati da Bruschini. Don Licata diventerà presto un film, per la direzione di Alessandro D'Alatri. E correrà per il Premio Strega.

Per adesso, è un personaggio memorabile, una specie di Principe di Salina in nero, costruito con talento da uno scrittore sorprendente.

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