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"Il denaro non fa la felicità? Invece sì"

Amartya Sen, economista liberal indiano: "Attenzione: l'austerity rende l'Europa più povera, quindi meno libera"

"Il denaro non fa la felicità? Invece sì"

Indiano d'origine «prestato» ad Harvard, Amartya Sen, 79 anni, Nobel per l'Economia nel '98, è una delle massime teste pensanti di oggi. Guru liberal, esemplare di filosofo-economista, ostile alle concezioni monodimensionali dell'uomo, in opere come Lo sviluppo è libertà ha rivoluzionato l'etica con una teoria sulle capacità che mischia Aristotele, Adam Smith e la teoria dei giochi. Al «Festival delle Scienze» di Roma ha parlato di «Felicità e diseguaglianze». Ma non ha lesinato scudisciate al vangelo europeo dell'austerity. Criticando anche la nostrana sinistra: non pervenuta. Per Sen viviamo tempi tristi perché abbiamo soffocato il nostro bene maggiore: la libertà.
Professor Sen, che cos'è la felicità?
«Una condizione complessa, sicuramente più ampia di quella descritta dagli utilitaristi come Jeremy Bentham, per i quali sarebbe una massimizzazione del piacere. Dimensione imprescindibile per una vita piena è invece la libertà, pertanto ogni dispiegamento di mezzi ha senso se produce un'espansione delle nostre libertà sostanziali. Per capire è utile la distinzione medievale tra “agente” e “paziente”: la felicità è piena quando l'uomo è “agente”. Questo si vede bene nell'amore: quello vero allarga le nostre potenzialità, non le avvilisce».
La situazione che stiamo vivendo in Europa è felice?
«Credo che il sentimento prevalente in Europa sia l'infelicità. Non misuro una sensazione soggettiva, registro uno status quo che nega le maggiori libertà umane. Se non trovo lavoro, o se sono malato e non posso curarmi, la mia libertà è impedita. L'infelicità è il corollario, a prescindere da come possano poi sentirsi effettivamente le persone».
Perché siamo arrivati a questo punto?
«Il tracollo europeo nasce da una politica d'austerità fallimentare che ha prodotto l'attuale scenario di povertà e disoccupazione. Lo dico da economista, perché la nostra è una scienza empirica. E una legge fondamentale dell'esperienza è imparare dagli errori. Il regime d'austerity, in vigore da anni, sta conducendo al baratro l'Europa».
E l'Italia? Il termometro dello spread s'è raffreddato, eppure il tasso di disoccupazione non accenna a calare, le attività chiudono...
«Anche l'Italia ha dovuto adottare politiche sciocche. Ma nessun Paese europeo è al riparo dai danni di questa politica deflazionistica. La Germania stessa ne sente gli effetti, poiché le sono venuti meno i mercati per le esportazioni. Sostenendo ciò, mi ricollego a un assioma base dell'economia novecentesca: senza domanda l'economia piange. Dovremmo riattualizzare Keynes».
Dovremmo inaugurare un New Deal europeo?
«Il problema è endemico. Nell'Ue manca una visione politica ragionata abbastanza forte da ergersi a contrasto di quanto è pattuito in sede intergovernativa. Per questo servirebbe una dichiarazione all'unisono di Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e in generale di tutti i Paesi vessati da vincoli di bilancio. L'Ue deve lasciarsi alle spalle la controproducente austerità. E va adottato un grande programma di politica economica europea pro sviluppo».
In passato ha espresso contrarietà all'unione monetaria europea. Se non avessimo adottato l'euro adesso staremmo meglio?
«Sono stato contrario all'euro per motivi di tempistica. L'unione monetaria avrebbe dovuto essere adottata dopo l'unione fiscale e politica, non prima di questa. Saltando lo scalino, invece, gli Stati ancora “nazionali” hanno perso il controllo sulla propria politica monetaria. Creando situazioni ad alta tensione: i tedeschi che accusano i greci d'essere pigri, i greci che accusano i tedeschi d'essere dei Kapò. Non è questa l'unità europea immaginata da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi negli anni Quaranta a Ventotene».
Serve la politica quindi. Al riguardo, Anthony Giddens ha difeso la tradizionale dicotomia destra-sinistra, a differenza del premier Monti. Per lei l'opposizione è ancora utile?
«La distinzione c'è e affonda le radici nei valori fondamentali delle due parti. Idealmente, la sinistra è garante della felicità, diritto da assicurare universalmente con l'interventismo statale. La destra originariamente è stata il bastione dei diritti proprietari; ora, più genericamente, difende le libertà individuali e il libero mercato. Io sono di sinistra. Ma penso che la sinistra debba prestare attenzione ai capisaldi liberali della destra. Il bipolarismo destra-sinistra è rintracciabile, seppure con cospicue diversità, negli Usa e in Europa. Non si può dire lo stesso dell'Italia.

Ed è deprimente che nel Paese di Antonio Gramsci non si scorga un'agenda politica che possa definirsi veramente “di sinistra”».

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