Cultura e Spettacoli

Il doge dei "tuttologi" Vita, opere e disastri di Massimo Cacciari

Nel feroce "Il politico della domenica", lo storico Liucci fa a pezzi l'ex sindaco di Venezia: incapace e inconsistente come intellettuale

Il doge dei "tuttologi" Vita, opere e disastri di Massimo Cacciari

«Se diciasette anni vi sembran pochi!». Parte così il pamphlet al vetriolo dato alle stampe in questi giorni da Stampa alternativa e firmato dallo storico Raffaele Liucci (che qualche lettore ricorderà per i libri in cui ha fatto le pulci a Montanelli). E uno, dato l'editore e l'autore, potrebbe aspettarsi il solito attacco a Silvio Berlusconi. Invece no, il veneziano d'adozione Liucci lo spiega subito, il bersaglio è tutt'altro: «Non si tratta dei diciassette anni dell'egemonia Berlusconiana (1994-2011), bensì dei diciasette anni in cui Massimo Cacciari ha regnato a Venezia (1993-2010)». Sì, ne Il politico della domenica, ascesa e declino di Massimo Cacciari il bersaglio sono proprio il sindaco filosofo e i suoi tre mandati al municipio della Serenissima, che Liucci boccia senza scampo: «I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Venezia non è più una città in declino, ma una città morta, spogliata da un turismo rapace e distruttivo...».
Sulle colpe di Cacciari come amministratore Liucci non ha dubbi e in questo suo breve ma documentato «sfogo» le elenca tutte («il suo curriculum politico è una lista ininterrota di fiaschi da far impallidire una cantina sociale»). Tanto per dire: dal famoso, scivoloso e vituperato ponte di Calatrava («un ponte maledetto di debolissima costituzione») alle nuove costruzioni sul canal grande che secondo Liucci sono un pugno nell'occhio e sulle quali Cacciari invece gli occhi li avrebbe tenuti volontariamente ben chiusi («Cacciari, gia professore di Estetica allo Iuav, ha tagliato corto, censurando i timori espressi da alcuni suoi assessori: “I giudizi estetici non ci competono”»). Il tutto senza scordare la cementificazione della zona di Tessera o il pasticciaccio del nuovo Palazzo del cinema mai ultimato. La critica ovviamente viene tutta da sinistra, ovvero Cacciari, troppo amico del mercato, avrebbe fatto «poco o nulla per contrastare le consorterie che dettano legge nella Serenissima, spesso anzi assecondandole». Non per disonestà semmai per una questione di ego. «Escluderemmo senz'altro che Cacciari possa essere stato un politico corrotto. Per una persona talmente innamorata di sé da credersi una divinità greca... il denaro è un bene troppo vile e plebeo».

Ed è proprio sulla questione dell'ego e della propensione salottiera che Liucci allinea alcune delle sue accuse più mordaci. «Spiace dirlo ma ormai Cacciari è diventato un tuttologo sfibrante, una sorta di Sgarbi del post-berlusconismo, senza per altro possedere le virtù istrioniche del critico d'arte». L'elenco delle comparsate del filosofo divo è crudele e puntuale: «L'Espresso dedica un'inchiesta alla crisi della democrazia? Ecco il democratico Cacciari che fa il punto sull'argomento. C'è un congresso sulle trasformazioni della famiglia? Ecco il sociologo Cacciari (scapolo e senza figliolanza, a suo merito) chiamato a tenervi una prolusione. V'è da celebrare il quarantennale del Sessantotto? Ecco il reduce Cacciari che non rinuncia a dire la sua (forse memore di quando si alzava all'alba, insieme a Toni Negri, per recarsi in fabbrica a spiegare agli operai le pagine del Capitale). C'è da rivitalizzare il Premio Campiello? Ecco il critico letterario Cacciari... C'è da confezionare un servizio televisivo sulla prima tappa del Giro d'Italia? Ecco il cicloamatore Cacciari che si fa strada fra i cameramen per un'intervista esclusiva...».Insomma quello che proprio Liucci, e non è il solo, proprio non digerisce è la discrasia tra il Cacciari che il 19 maggio 1994 dichiarava al settimanale Sette: «Stia tranquillo che al Maurizio Costanzo Show non mi vedrà mai» e il Cacciari che già il 19 ottobre 1994 spiegava a Costanzo nel suo teatro che: «Virtus ipsa praemium est». A questo poi si aggiungono anche e ovviamente alcuni cambiamenti di posizione che per una certa sinistra sono indigeribili. Cacciari ha insegnato al San Raffaele e si è persino permesso di dire cose tipo: «Basta con il giustizialismo! Craxi vedeva lontano, sognava un grande partito socialdemocratico europeo».

Inevitabile quindi che il librino, che ha faticato a trovare un editore, provochi un bel polverone nella gauche, soprattutto in quella radical chic veneziana. Si parlerà del Cacciari troppo di destra o troppo da salotto. Alla fine però il nodo vero resta la distanza tra l'intellettuale che scrive testi giudicati a volte incomprensibili dagli stessi filosofi e il sindaco con la necessità di governare persone che, di destra o sinistra non conta, parlano come mangiano. Alla fine la frase di Cacciari più antipatica è quella che Liucci ripesca da un'intervista a Radio 24 e pone a chiusa del testo: «La cosiddetta società civile ti invade ogni giorno l'ufficio perché ha la prostituta nel viale, o il casino nel bar sotto casa, o il mendicante o la strada dissestata... Un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi... E io rispondevo: va bene, ti faccio l'ordinanza, così smetti di rompermi le palle». Altro che crisi della metafisica occidentale..

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