Cultura e Spettacoli

Eritrea, Albania, Grecia. Le "vacanze creative" degli architetti coloniali

Ospedali, chiese, fabbriche, teatri, cinema, stazioni. Negli anni Trenta le migliori idee che ridisegnarono le città furono quelle da esportazione. Tutti arditi modelli di funzionalità e fantasia che fecero scuola

La stazione di servizio Fiat Tagliero all'Asmara
La stazione di servizio Fiat Tagliero all'Asmara

Contrariamente a quanto affermato dalla cultura ufficiale, gli anni Trenta in Italia hanno prodotto il massimo dell'avanguardia senza condizionamenti ideologici di alcun tipo. Se ormai la pittura del Ventennio ha vissuto un processo di riabilitazione, lo stesso non può dirsi ancora per l'architettura. Da tale constatazione sono partiti due fotografi torinesi, Bruna Biamino e Daniele Ratti, aiutati dallo scrittore Enrico Remmert, i quali si sono messi in tour alla ricerca dei nostri lasciti coloniali: Eritrea, Albania, Dodecaneso, Cina i primi luoghi visitati, poi andranno in Etiopia, Libia e Somalia, situazione politica permettendo. L'idea è quella di allestire una grande mostra alle OGR di Torino nel settembre 2015, con un antipasto dei primi scatti a Lugano presso il Consolato Generale d'Italia dal 2 al 6 dicembre.

Le foto di tale progetto dal nome ERITALIA raccontano di un momento splendido dell'architettura italiana, un profluvio di costruzioni ancora quasi tutte perfettamente funzionanti; ospedali, chiese, scuole, teatri, cinema, caserme, stazioni, locali, per un coacervo di stili sorprendente che rimanda in particolare al Futurismo, prima avanguardia italiana, e alla metafisica di de Chirico e Carrà.

L'Eritrea è il gioiello della sperimentazione: colonia italiana nel 1890, vive un periodo di straordinario ammodernamento negli anni Trenta, in particolare con il progetto di comunicazione tra il porto di Massaua e la capitale Asmara. Sono ben 53mila i nostri compatrioti che vi abitano, su una popolazione di 98mila anime, fino all'occupazione, nel 1941, da parte dell'esercito britannico. Tra gli edifici più rilevanti, il Cinema Impero, disegnato nel '37 da Mario Messina, che prende a modello il razionalismo e inserisce tettoie e oblò con i colori dell'Africa. Quindi la stazione di servizio Fiat Tagliero del '38, progettata da Giuseppe Pettazzi e influenzata dal Manifesto futurista dell'Architettura Aerea di Mazzoni e Marinetti, soprannominata per le sue forme ardite e ipermoderne «astronave coloniale».

Asmara in particolare viene indicata come la «piccola Roma» per il mix tra la memoria dell'antico e il bianco del nuovo quartiere dell'Eur voluto da Mussolini. Nell'ex colonia si sommano gli stili novecenteschi, dal Déco al cubismo, dal Futurismo al razionalismo soprattutto negli edifici pubblici, come nei numerosi cinema oppure nel Bar Zilli che ancora presenta il bancone originale. A Dogali, sempre in Eritrea, spicca il Ponte Menabrea formato da tre arcate in cemento armato che sovrastano il letto sabbioso del torrente Dessèt, con la curiosità di una scritta in piemontese «ca custa lon ca custa», costi quel che costi.

Biamino e Ratti si sono poi spostati in Grecia, lei stampando a colori, lui in un più contrastato bianco e nero, nell'isola di Leros, possedimento italiano dal '12 al '47. Sull'Egeo dunque sorge la scuola progettata da Arnaldo Bernabiti e Rodolfo Petracco fra '31 e '36, dalla caratteristica forma a «L», che è ancora il principale istituto scolastico del luogo. Il cinema teatro dello stesso Bernabiti sembra invece uscito dall'incrocio fra un disegno di Moebius e un quadro di de Chirico: qui lo stile si fa più sognante ed estremo.

Ciò che colpisce in questo reportage fotografico è la qualità dell'architettura italiana durante il Ventennio, peraltro mai più raggiunta se non in episodi singoli. È infatti mancata in seguito la progettualità complessiva, il voler unire l'elemento decorativo stilistico a quello meramente funzionale.

Al di là della funzione propagandistica, che peraltro è implicita nell'architettura in qualsiasi tempo e sotto qualunque regime, colpisce la capacità di guardare in avanti fino a sfiorare la purezza utopistica.

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