Cultura e Spettacoli

La «ferocia» dei palazzinari secondo Lagioia

L'immagine di uno sky dancer, un gigantesco pupazzo gonfiabile che oscilla al vento della sera e incombe, più stolido che minaccioso, sulla pompa di benzina di una camionabile pugliese domina il quarto romanzo di Nicola Lagioia, La ferocia (Einaudi, pagg. 418, euro 19,50). Una ferocia che si vuole inegualmente distribuita fra i membri della famiglia Salvemini, cresciuta attorno a Vittorio. Per i quotidiani locali Vittorio è «il Genserico del Gargano»: un costruttore piovuto chissà da dove, ma in grado di mettere a frutto la generale disponibilità per gli affari, anche quelli illeciti. Primo ministro della malavita palazzinara, Vittorio è affiancato da un paio di geometri che in realtà sono i suoi mazzieri. La moglie Annamaria, «le nude caviglie tutte spigoli come architravi in grado di respingere gli attacchi», è più attenta al decoro borghese che alla trasparenza morale. Dei figli il primogenito, Ruggero, è un oncologo che firma senza discutere le carte che Vittorio gli mette sotto il naso. Giada è la più piccola, gli studi di Filosofia sono il passatempo di una ragazza che ha troppi soldi e troppo poco cervello per prenderli sul serio. Ma le tirate di Ruggero contro il lassismo familiare sono dirette all'altra sorella, Clara, così pura da reagire al cinismo che la circonda e che la nutre con la più automatica delle proteste femminili: una vita sessuale balorda, con uomini vecchi o volgari. È dal suicidio di Clara (ma forse è un omicidio) che prende avvio il romanzo, che poi si dipana sviscerando il rimosso familiare attraverso l'analisi del rapporto fra Clara il fratellastro Michele, nato da una relazione adulterina di Vittorio.

Divisa fra la seduzione di un fraseggio martellante e una metaforicità di solito efficace, anche se a tratti involuta (in una pagina qualcuno fissa Ruggero «perché dagli occhi dell'uomo di scienza emerga un Cristo in marcia sull'acquosa superficie della cornea»), quella di Lagioia non è una parabola sulla genesi del potere economico di un individuo, e di certo il romanzo non muta il quadro irredimibile che si ha del Meridione. La ferocia, per Lagioia, non è il male con cui bisogna scendere a patti, né un pegno da pagare per fare carriera: è la radice del successo economico e il suo innominabile doppio.

Una peste che impone a chiunque ne sia sfiorato la scelta fra il «rilancio» attuato da Ruggero, uno squalo in camice bianco, e la dissoluzione di Clara, che ha sempre fatto di tutto solo per scomparire.

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