Cultura e Spettacoli

Filosofi, eroi, fratelli: se i cani "fanno" grande letteratura

Da Malaparte alla Sagan, da D'Annunzio alla Woolf In un libro le più belle amicizie fra uomini e animali

Filosofi, eroi, fratelli: se i cani "fanno" grande letteratura

«Cinico» è l'aggettivo più bugiardo del vocabolario. «Indifferente ai sentimenti e alla morale comune; privo di sensibilità», dice a esempio il Sabatini Coletti illustrandone l'accezione negativa. Ma come può essere indifferente alla morale comune e insensibile chi deriva dal cane?

L'equivoco risale all'Atene del IV secolo avanti Cristo, quando «cinici», da kyon , cioè «cane», vennero chiamati quei filosofi, randagi sì, ma moralmente irreprensibili, seguaci di Antistene e Diogene di Sinope. Vivevano per strada, si accontentavano di poco, puntavano a una felicità morigerata e per nulla invadente. Insomma, erano cinici soltanto nel senso buono. Anche i cani a quattro zampe, una volta accolti nell'umano consesso e dunque abbandonato lo stato selvatico, tendono a vivere per strada, si accontentano di poco e puntano a una felicità morigerata e per nulla invadente. E quando li accogliamo in casa non recedono dai loro principî, tutt'altro, cercano di insegnarceli.

È questa la chiave per entrare in un libro che coniuga, senza forzature animalistiche né presunzioni antropocentriche, etologia e storia della letteratura: Una misteriosa devozione. Storie di scrittori e di cani molto amati (marcos y marcos, pagg. 287, euro 18), di Carlo Zanda. Del resto, che cosa fa lo scrittore? Si mette buono buono a cuccia, raccoglie le idee, medita, sogna, ricorda, immagina. Proprio come il cane che, tirato uno di quei sospironi molto umani, s'accoccola da qualche parte, appoggia il muso sulle zampe anteriori incrociate e pensa.

Magari, lì di fianco, il suo amico Sigmund Freud sta psicanalizzando un paziente. «In chi non piace a Jo-fi c'è sicuramente qualcosa che non va», disse il Professore. Jo-fi (in ebraico «bellezza») era in effetti una bella chow chow che gli fungeva da assistente. E anche da musa ispiratrice. «Il sentimento per i cani è quello stesso che nutriamo per i bambini: è della stessa qualità. Ma sapete in che differisce? In esso non si dà niente di ambivalente, non si riscontra alcuna resistenza». A proposito della psiche (bipede o quadrupede), un esperto in materia era Charles M. Schulz, il geniale fumettista di Linus e compagnia, il quale amava anche i cani in carne e ossa, non soltanto il suo Snoopy. In una striscia, Charlie Brown pianta davanti alla cuccia del bracchetto un cartello con scritto «Attenti al cane». E Snoopy commenta: «Ho sempre desiderato avere un cane». Soltanto voglia di tenerezza (la madre di Schulz era norvegese e snupi in norvegese significa «tenerezza») oppure anche una sorta di inversione dei ruoli? Probabilmente Curzio Malaparte sceglierebbe la seconda risposta. A parte il fatto che la notte usciva sul terrazzo a ululare e non la smetteva fino a quando qualcuno gli rispondeva, l'autore di La pelle aveva con il suo cane Febo un rapporto ben più che amichevole, addirittura fraterno. «L'incontro di un uomo e di un cane - scrive - è sempre l'incontro di due spiriti liberi, di due forme di dignità, di due morali gratuite. Il più gratuito, e il più romantico degli incontri».

Gabriele d'Annunzio va oltre, e attribuisce al cane il valore di messaggero metafisico. Nella sua ultima poesia scritta per diventare l'epigrafe del cimitero dei suoi cani al Vittoriale, l'Immaginifico dice: «Ogni uomo nella culla/ succia e sbava il suo dito/ ogni uomo seppellito/ è il cane del suo nulla». Il legame uomo-cane, come quello uomo-uomo, persiste oltre l'Oltretomba. «Noi che sappiamo soffrire - spiega Franca Valeri - quando ci muore un cane, il giorno dopo andiamo al canile e ne prendiamo un altro».

Se Jack London è diventato Jack London, lo deve anche a Zanna Bianca e al Buck di Il richiamo della foresta . Se Carlo Coccioli ha abbracciato il buddhismo lo ha fatto anche sulla scorta delle sue frequentazioni con i cani. Se Colette fugge dalla cagnara (altra parola traditrice) del mondo, lo fa anche per vivere meglio in compagnia dei suoi adorati cagnolini.

Ma il cane, spesso, è anche l'anello di congiunzione fra la dimensione libera della nostra esistenza e i doveri e le incombenza che ci tocca affrontare. Comprese quelli più piacevoli, come una relazione amorosa. Vedi il caso di Virginia Woolf, per la quale il cocker spaniel Pinka fu il go-between , il messaggero d'amore, che la univa a Vita Sackville-West. Da parte sua, Ernest Hemingway era seriamente convinto, da bimbo, di essere il fratello di un cagnolino di panno nero, suo compagno di giochi, e da adulto non si separava mai da Black Dog.

Certo, le donne sono generalmente più sentimentali degli uomini anche caninamente parlando. Françoise Sagan in Costa Azzurra preferiva scorrazzare in auto con il pastore tedesco Popov. «Quando sarai partita, Topsy, chi mi difenderà dai fantasmi?», si chiede, angosciata, Marie Bonaparte. «E adesso, chi mi farà da guida?», si strugge Emily Dickinson dopo la dipartita del suo Carlo. Ma sarebbe un segno di malintesa virilità, per i lettori maschi, restare insensibili di fronte alle doti da simposiarca del Petote di Goffredo Parise, o al Bubi spinoziano di Antonio Faeti.

Perché, come sentenziò Wystan Hugh Auden, «Nei momenti di gioia/ tutti noi vorremmo possedere/ una coda con cui scodinzolare».

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