Caro direttore, il 5 aprile del fatale 1848 Verdi era giunto da Parigi a Milano, l'indomani delle Cinque Giornate, e inviava esaltati messaggi di lode, come questo al suo fedele librettista Piave: «Onore a questi prodi! Onore a tutta l'Italia che in questo momento è veramente grande! L'ora è suonata, siine pur persuaso, della sua liberazione». Naturalmente si limitava a lodare, non poteva farsi soldato. Avrebbe rischiato di beccarsi una fucilata e scelse di mettere su casa. Non era la sua prima, ne aveva già acquistata una in centro a Busseto. Ma questa di Sant'Agata, con fondo annesso, a tre chilometri da Busseto, divenne la preferita e il nucleo di numerose proprietà terriere successive.
Oggi da quelle parti - come ha raccontato Lucia Galli su il Giornale del 29 aprile scorso - gli eredi si accapigliano, minacciano di bandire un'asta se non si accorderanno per la divisione della villa. Pare che il diavolo si diverta a perseguitare la dimora del nostro grande artista, e benemerito benefattore, e patriota del Risorgimento, proprio in questo 2013 che celebra il suo bicentenario poco dopo i 150 anni dell'unità nazionale. C'è chi confida nell'aiuto del buonsenso e nell'interessamento di personaggi più che autorevoli vicini al problema. Si fanno i nomi del presidente di Giorgio Napolitano e del maestro Riccardo Muti, che sarebbero disponibili a intervenire prima che il martello d'asta batta l'ultima musica di Sant'Agata. Si pensa a una fondazione, evitando il pericolo di un passaggio a ignota proprietà che potrebbe compromettere il futuro di un luogo dall'innegabile significato simbolico, impreziosito da cimeli e documenti di pregio, a tutti gli effetti patrimonio dell'umanità.
Riguardo a Verdi, il fenomeno della sua eterna novità ha suscitato nel 1960 la nascita dell'Istituto nazionale di studi verdiani con sede a Parma, che apriva la sua attività (saggi, congressi, manifestazioni, archivio documentario) con una chiara presa di coscienza, come si legge nel programma dell'ente a firma di Mario Medici: «Onorare Verdi
non significa soltanto rappresentare le sue opere - che già in vita egli seppe conquistarsi questo diritto - significa soprattutto studiarlo, capirlo, rivelarlo». Chi si addossò la fatica di promuovere la fondazione dell'Istituto fu appunto il Medici, un musicista, critico musicale e direttore artistico dell'Arena di Verona, di cui ricorre il centenario della nascita. Medici come compositore aveva avuto da giovane non pochi riconoscimenti, e uno di questi, in tempo di guerra, lo raggiunse addirittura in un campo di prigionia nel Texas. Tornato in Italia, resse il timone della navicella verdiana, che fece apprezzare in Italia e all'estero, fino a quando ebbe l'amarezza di vederla imbarcare acqua per mancanza di coperture. A tutt'oggi la situazione non è migliorata di molto, l'Istituto è ancora in vita, ma non si sa bene di cosa viva. Andrebbe anch'esso messa al sicuro.
In conclusione. Salvare Sant'Agata è necessario. É un dovere verso Verdi, ma anche una convenienza economica.
*Biografo e studioso di Giuseppe Verdi