Cultura e Spettacoli

Un grande mattatore che fa gol con le parole

Lo sport era il suo lavoro, la scrittura era il suo vero amore. E con lui ogni chiacchierata aveva il sapore di un romanzo

Un grande mattatore che fa gol con le parole

Per fare letteratura non è indispensabile fare dei libri nel senso di scriverli. A volte è sufficiente parlarne (di quelli altrui) oppure parlare e basta, a patto di saper parlare come un libro stampato. Oppure scrivere, sì, ma di altro: il Giro d'Italia, le Olimpiadi, il buon vino e i buoni piatti, le corse dei cavalli, le vecchie storie terragne tramandate dagli avi, un derby Milan-Inter... Il bardo padano Gianni Brera faceva letteratura proprio così, corteggiandola con discrezione, lui che discreto non fu mai, come ben ricordano quelli che duellarono (e mal gliene incolse) con la sua dialettica forbita e pungente. Madama Letteratura, del resto, è molto meno disponibile e a buon mercato di un'altra Madama ben nota al Nostro, la Juventus... Se le stai troppo addosso, ti respinge e finisci nel gran calderone degli scribacchini anonimi, o al massimo degli emuli di qualcuno.
Ma come avrebbe potuto, Madama Letteratura, respingere Gioanbrerafucarlo? D'accordo, magari non gli concesse per intero le proprie grazie, e non si sposarono, né si fidanzarono ufficialmente, però il loro flirt durò quarant'anni, più che un flirt, un amore assoluto. Da L'avocatt in bicicletta del 1952, una storia romanzata di mezzo secolo di ciclismo italiano, fino alla morte del fedele spasimante, il 19 dicembre di vent'anni fa. Raccontatore onnivoro e in quanto tale affabulatore raffinato, monologante mattatore sul tappeto verde, salottiero o redazionale, del campionato di calcio, nello spazio impercettibile eppure vastissimo di un traversone o nell'attesa densa di ansie e speranze per un calcio di rigore, Brera infilava una citazione in latino o la lode di un sodale di bevute, una reminiscenza liceale o una suggestione-omaggio presa dall'amato don Lisander. Non aveva, come i veri letterati e diversamente da molti suoi colleghi giornalisti di ieri, oggi e domani, la pretesa di sciorinare un Verbo buono per tutti, di cucinare una vulgata a uso e consumo di chiunque volesse prenderla in comodato. Era «scorretto» sia politicamente, sia sportivamente. E delle carni di Madama Letteratura godette in lungo e in largo come del Corpo della ragassa (il suo romanzo del '69 diventato film, dieci anni dopo, adattato da Alberto Lattuada e diretto da Pasquale Festa Campanile) godette l'untuoso professor Ulderico Quadrio prima che la bella Tirisin si emancipasse a modo suo...
Chiamarlo divulgatore o, peggio, operatore culturale significherebbe offendere lui e chi a lui guardava come si guardava uno zio di campagna che la Domenica (sportiva) sera entrava in casa, si metteva in poltrona, accendeva la pipa o il toscano e... E che cosa? E faceva cultura: cioè dava notizie, magari vecchie di secoli, e le pucciava nella cronaca. Per poi, dopo un solo giro d'orologio, riaffacciarsi dalle colonne di un quotidiano, compreso questo, per dar seguito, con la parola scritta, alla parola detta. Saggi, pièce teatrali e radiofoniche, manuali funzionavano allo stesso modo, perché erano prodotti della stessa fucina.

Una fucina letteraria nel senso più nobile e popolare, talmente nobile da essere accademia e talmente popolare da essere osteria.

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