Cultura e Spettacoli

"La grande menzogna" sulla Grande guerra

In allegato con "il Giornale" un volume dedicato agli aspetti meno noti del primo conflitto mondiale

"La grande menzogna" sulla Grande guerra

«L a memoria ufficiale è corta. Le prove delle atrocità marciscono negli archivi istituzionali, eppure la memoria della inumanità della guerra non sbiadisce con il tempo. Aleggia con i suoi fantasmi. È possibile seppellire mai completamente i morti?». Queste righe di James Hillman, tratte da Un terribile amore per la guerra (Adelphi) introducono il volume Prima Guerra Mondiale. La grande menzogna , in edicola oggi a 7,60 euro oltre il prezzo del quotidiano. Il libro, scritto a sei mani da Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella, mostra la Grande Guerra da un punto di vista «diverso» (non a caso il sottotitolo è «Tutto quello che non vi hanno mai raccontato») e non convenzionale. Gli autori prendono in considerazione - dal loro punto di vista - alcuni degli episodi meno conosciuti e più controversi dell'ingresso, della partecipazione e della memoria degli italiani durante il conflitto che venne dichiarato ufficialmente il 23 maggio 1915.

Si parla molto - e con orrore - dell'Olocausto e delle terribili condizioni in cui versavano i prigionieri nei campi di concentramento hitleriani e staliniani, ma anche nella guerra precedente vi fu il grande dramma dei prigionieri, in quanto la prigionia di massa fu uno degli elementi di (tristissima) novità proprio della Grande Guerra. Gli internati italiani nei campi di prigionia furono 600mila (quasi tutti soldati di truppa, dato che gli ufficiali catturati furono 19.500), molti catturati dopo la disfatta di Caporetto, «un numero altissimo se si pensa che quelli degli altri stati vincitori, per cui la guerra durò un anno di più, erano molti meno (i francesi 520mila, i britannici 180mila)». Deteniamo quindi il non invidiabile primato della più alta percentuale di prigionieri morti in prigionia. Sarebbero oltre 100mila rispetto ai 30-40mila francesi. I nostri muoiono principalmente di fame e di freddo. «I prigionieri italiani sono etichettati dal Comando regio come vigliacchi e disertori - scrivono gli autori - che si sono consegnati spontaneamente al nemico per sfuggire alla guerra...I principali responsabili della disfatta di Caporetto secondo Cadorna, imboscati d'Oltralpe li bolla con disprezzo D'Annunzio...Pertanto vanno puniti, non fornendo loro quell'assistenza indispensabile alla sopravvivenza che invece tutti gli altri Stati dispensano ai loro prigionieri».

Per la gestione del tempo libero dei soldati la Chiesa aveva creato «Le case del soldato», alternativa all'osteria, nelle quali i militari al fronte potevano godere modico divertimento. «Un'azione definita di supplenza cattolica rispetto alla totale assenza dello Stato liberale», però l'esercito organizzò metodicamente, a poco più di due settimane dall'inizio del conflitto, portarono al fronte i casini inviando plotoni di prostitute per il ristoro dei soldati. Un altro capitolo è dedicato ai fanti che, quando esitavano a lanciarsi all'assalto, venivano trucidati dai carabinieri appostati alle loro spalle.

Non mancano le curiosità, come le canzoni contro la guerra, ad esempio O Gorizia tu sei maledetta (1916) per cui personaggi come il musicologo Roberto Leydi furno denunciati per vilipendio alle forze armate.

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