Storia d'assalto

Quella guerra di Ataturk che salvò la Turchia

Ataturk nel 1922 salvò la Turchia dall'offensiva greca. Ma i nazionalisti si abbandonarono dopo la vittoria a terribili massacri

Quella guerra di Ataturk che salvò la Turchia

Un'epopea nazionale seguita da drammi inenarrabili. Il riscatto di una sconfitta che chiuse l'era di un Impero e inaugurò una Repubblica. La tracotanza di un vincitore trasformatasi in rotta. La guerra di tre anni (1919-1922) tra la Grecia e il Movimento Nazionale Turco di Mustafa Kemal Ataturk, detentore di fatto del potere del fatiscente Impero Ottomano, fu la più sanguinosa di quelle seguite come coda alla Grande Guerra, eccezion fatto per i cataclismi della Rivoluzione Russa. Consacrò definitivamente un leader in Ataturk, capace di riscattare, materialmente e politicamente, la disfatta bellica. E inaugurò la nuova fase del dualismo greco-turco che, nell'ultimo secolo, non ha accennato a diminuire.

Il contesto geopolitico della guerra greco-turca del 1919-1922 è legato all'onda lunga della spartizione di parte dell'Impero ottomano da parte dei governi alleati dopo la Prima guerra mondiale. Nel 1919, le forze greche ricevettero l'autorizzazione dell'Intesa a sbarcare nella città di Smirne, in Anatolia prima che con il trattato di Sèvres (10 agosto 1920) la Sublime Porta accettasse le conseguenze della capitolazione.

Alla conferenza di pace di Parigi del 1919, il capo del governo greco, Eleutherios Venizelos, aveva fatto pressione sugli Alleati per attuare il suo sogno di una "Grande Grecia" (la Megali Idea), destinata a comprendere l'Epiro settentrionale, la totalità della Tracia e l'Asia minore, in qualche modo andando a ricreare il "nocciolo duro" dell'antico Impero bizantino. Mentre tra il 1919 e il 1920 la vigilanza dei britannici su Istanbul privava la Turchia della sua regione più ricca (il Bosforo), e le forze armate nazionaliste turche affrontavano tanto le truppe francesi in Cilicia quanto i nazionalisti armeni nella regione del Caucaso i greci poterono avanzare e consolidarsi indisturbati.

Ma Ataturk seppe riscattare apertamente la disfatta. Il leader vincitore della battaglia di Gallipoli rifiutò di accettare una presenza greca anche solo temporanea a Smirne. Alla fine, i nazionalisti turchi con l'aiuto delle forze armate kemaliste sconfissero le truppe elleniche in una serie di battaglie: nel distretto di Inonu, a sud della capitale imperiale, fermarono l'avanzata greca nel cuore dell'Asia Minore nel 1921; sul fiume Sakarya (Sangarios, in greco), in una regione situata a meno di 100 km da Ankara, nell'agosto 1922 l'avanzata fu congelata definitivamente; nel settembre 1922 la guerra-lampo di Ataturk travolse, infine, gli ellenici?

Cosa era successo nel frattempo? Certo, Ataturk si presentò con l'intento di resistere e fare dell'Anatolia "una sorta di fortezza eretta contro tutte le aggressioni verso Oriente". I militari greci non capivano la necessità di un'altra guerra dopo i lutti del primo conflitto mondiale. L'avventurismo di Atene finì per compattare i nazionalisti turchi e individuare un capro espiatorio nella popolazione greca della Turchia. Ma soprattutto il governo rivoluzionario di Ankara aveva ottenuto la vittoria sugli Armeni, conquistato la Cilicia inizialmente occupata dalle truppe francesi, ottenuto la restituzione di Antalya dove erano sbarcati gli italiani e, in particolar modo, siglato proprio con Parigi e Roma un'alleanza strategica. Entrambe le potenze latine temevano gli effetti dell'espansionismo e dell'avventurismo greco sull'ordine balcanico ed esteuropeo, non volevano che una Grecia molto vicina alla Gran Bretagna consegnasse di fatto a Londra le chiavi del Bosforo e segretamente avevano iniziato nella metà del 1921, dopo gli accordi con Ataturk, ad armare il suo esercito e a fornirgli ricognizione e intelligence sui movimenti greci. A giocare un ruolo decisivo, in questo senso, fu il conte Carlo Sforza, futuro ministro degli Esteri di Alcide De Gasperi, commissario a Costantinopoli per le potenze dell'Intesa, che giocò a favore della vittoria ottomana tramando per togliere ad Atene il terreno sotto i piedi.

Tra il settembre e l'ottobre 1922 Ataturk e i suoi uomini spazzarono via i greci dall'Asia Minore. Per la Turchia questa fu una vera e propria offensiva militare e politica al tempo stesso: Ataturk ebbe gioco facile nel presentare la sua mossa militare come una guerra di indipendenza contro un aggressore baldanzoso e di utilizzare contro il fatiscente potere del Sultano Mehmed VI lo spirito repubblicano e nazionalista. L'11 ottobre i Greci lasciarono confusamente la Turchia. Un mese dopo, Mehmed si dimise e la storia dell'Impero Ottomano iniziata nel 1299 veniva archiviata definitivamente, ed è un paradosso a dirsi, proprio dopo l'estrema difesa dell'integrità territoriale del suo nucleo storico. Ataturk plasmò la Repubblica che fu istituita nel 1923 come uno Stato nazionalista e fondato sul ceppo etnico turco anche in virtù del trionfo contro le aggressioni delle potenze dell'Intesa, Grecia in testa, che volevano approfittare della vittoria nella Grande Guerra.

Chi ci rimise? Senza ombra di dubbio la popolazione civile greca dell'Anatolia. La disfatta dell'esercito e la tracotanza dei nazionalisti turchi portò a massacri continui delle comunità greche che vivevano ininterrottamente nell'area dell'Asia Minore da quasi tremila anni. Gli effetti della sconfitta militare e del genocidio in Anatolia e la conseguente ondata di profughi che si insediarono in Grecia vanno oltre i fatti politici, diplomatici e militari. Si tratta di un evento storico totale che ha determinato tutti gli aspetti della storia e della società greca dal 1922 in poi. La "catastrofe dell'Asia Minore" portò 1,2 milioni di greci a stabilirsi nella madrepatria, aumentando del 20% la popolazione ellenica. Al contempo, il Trattato di Losanna del 1923 consentì a 500mila turchi residenti nella Tracia greca di spostarsi nella neonata Repubblica.

Il culmine della catastrofe fu il rogo di Smirne, città simbolo della Grecia "asiatica" in cui i turchi entrarono il 9 settembre 1922 e che fu data alle fiamme quattro giorni dopo: lo storico e giornalista britannico Arnold Joseph Toynbee dichiarò che, al momento in cui aveva visitato la regione, aveva visto villaggi greci rasi al suolo e la città data alle fiamme in maniera dolosa. Inoltre, Toynbee raccontò che le truppe turche avevano deliberatamente incendiato le abitazioni una a una. Almeno 10mila persone morirono in quel fatto, mentre la Turchia operava politiche di vera e propria pulizia etnica. Il trionfo di Ataturk generò la creazione del seme avvelenato che guasta da un secolo i rapporti tra Ankara e Atene.

Oggi, più che mai, rivali sistemici.

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