All'origine c'è Eraclito, filosofo greco capace di dire bruttissime e sibilline verità. Infatti uno dei suoi aforismi più noti recita: «La guerra è madre di tutte le cose». Per carità, decine di interpreti hanno cercato di minimizzare questa sua affermazione, riducendola a metafora.
Però è innegabile che, pur senza arrivare alla guerra «sola igiene del Mondo» di Filippo Tommaso Marinetti, molti degli sviluppi tecnologici e sociali che ci hanno portato al nostro relativamente pacifico presente sono figli del conflitto o almeno del suo superamento. Giusto per fare un esempio: l'idea di tolleranza religiosa, così giustamente cara all'Europa, è figlia della Guerra dei trent'anni (1618-1648). Ci volle un numero incalcolabile di morti (in senso letterale, gli storici non riescono a mettersi d'accordo) per far sì che fosse chiaro a tutti gli europei che scannarsi (anche) per la religione era follia da non ripetere. E poi ci sono gli sviluppi tecnologici. È un'ovvietà ma senza le V1 e le V2 che hanno martoriato Londra, prima, e il clima di tensione della Guerra fredda, poi, l'uomo sulla Luna ci sarebbe andato molto più tardi. Come l'utilizzo e lo sviluppo degli anestetici, a partire dalla morfina, e di moltissimi prodotti chimici, è stato direttamente legato allo sforzo bellico.
Ora a occuparsi del legame tra scontro armato e sviluppo che, ovviamente, fa venire il maldipancia ai pacifisti è Ian Morris: studioso britannico che insegna storia classica e archeologia nell'università californiana di Stanford. La specialità di Morris è la creazione di analisi di lungo periodo. A esempio nel discusso Why the West Rules - For Now ha analizzato i motivi della superiorità (labile) dell'Occidente sull'Oriente dalla preistoria ai giorni nostri. Nel suo nuovo Krieg. Wozu er gut ist (Guerra, perché fa bene) appena pubblicato in Germania - la versione in inglese War! What Is It Good For? Conflict and the Progress of Civilization from Primates to Robots arriverà ad aprile - ha illustrato tutti i benefici dei conflitti sul lungo periodo. Senza falsi buonismi. Secondo lui, come ha spiegato al settimanale tedesco Spiegel: «La storia dimostra che la guerra non è così male come la sua alternativa, l'anarchia della violenza come stato normale». Partendo da lontano ha evidenziato che, a dispetto delle apparenze, il numero di morti, percentualmente parlando, nelle guerre degli ultimi 10mila anni, è diminuito in maniera impressionante. Nel libro spiega che le guerre del secolo scorso «hanno ucciso da 100 a 200 milioni di persone, un numero orribile, ma i morti corrispondevano all'1% o al 2% della popolazione mondiale. Nell'età della pietra a morire per mano di un altro uomo è stato tra il 10% ed il 20% della popolazione. Nel 1250 un europeo occidentale su 100 era destinato a morire di morte violenta, ai tempi di Shakespeare uno su 300, nel 1950 uno su 3mila». Insomma la guerra contemporanea è sporca e colpisce moltissimo i civili, ma non è un vero freno allo sviluppo, nemmeno demograficamente parlando.
Così Morris partendo dal successo dei romani - «durante le loro guerre di espansione hanno ucciso oltre 10 milioni di persone, con altri milioni finiti in schiavitù» - sostiene che un conflitto è molto meglio dell'anarchia o dell'instabilità sociale prolungata. La guerra gli appare «un male necessario e minore, anche se indiscutibilmente terribile, nel processo di civilizzazione. Noi siamo dei killer e l'unica cosa in grado di tenere a freno l'animale feroce dentro di noi è la minaccia di una punizione, ovvero la sconfitta in guerra». Insomma, prende le parti del suo conterraneo Thomas Hobbes, l'inventore dell'immagine del Leviatano contro Rousseau. Spiega sempre allo Spiegel: «Hobbes è andato più vicino alla verità di Jean-Jacques Rousseau, per il quale nel suo stato naturale l'uomo era un essere pacifico e senza brame. La tesi di Hobbes è meno romantica, il realismo può essere ripugnante, ma ci azzecca». Insomma sul lungo periodo della storia umana avrebbe ragione il generale prussiano Carl Von Clausewitz (1780-1831): «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». E sin che c'è politica c'è sviluppo e non caos. E va da sé che Morris è uno storico e non un bellicoso sanguinario: la UE gli piace molto proprio perché è stata creata senza violenza. Ma da storico non si sente di negare che la guerra può essere una molla propulsiva potente.
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