Cultura e Spettacoli

I libri? Li brucia chi ne ha letti di più

Non sono gli analfabeti ma gli uomini di cultura a distruggere le opere "pericolose". E non solo nelle epoche buie...

I libri? Li brucia chi ne ha letti di più

Chi brucia i libri è un ignorante, analfabeta e oscurantista.

I falò crepitano nelle epoche più buie e barbare della Storia.

I roghi di libri e le persecuzioni degli scrittori sono un retaggio del passato, orrori scomparsi se non in aree limitate del pianeta, spazzati via dalla democrazia avanzante, dalla post-modernità tecnologica e dalla Rete che ci libera e ci protegge.

Tutto falso.

La verità è che furono uomini colti e intelligenti, ancorché fanatici, a ordinare i roghi di libri che hanno costellato la storia della civiltà: da Shih Huang Ti, leggendario fondatore della dinastia Ch'in, che fece grande la Cina e diede alle fiamme tutti i libri scritti prima di lui, compresi gli insegnamenti di Confucio, fino agli imperatori romani, anche filosofi, che misero al bando testi cristiani. Esempi. Mao tse-Tung, la cui rivoluzione annientò un'intera cultura, lavorò nella biblioteca dell'Università di Pechino. Pol Pot, che sterminò chiunque portasse un paio d'occhiali, perché leggere era un crimine, studiò alla Sorbona. Hitler, le cui squadre di SA hanno appiccato i roghi più tristemente famosi della Storia, adorava i libri, li collezionava e portò 16mila volumi persino nel bunker della disfatta. Gli inquisitori, che sceglievano i libri da mettere all'Indice, erano le migliori intelligenze della Chiesa. John Edgar Hoover, l'occhiuto investigatore-inquisitore a capo dell'Fbi, che non bruciava libri ma sapeva disinnescare quelli «nocivi» alla sua America, fece il tirocinio nella Biblioteca del Congresso di Washington. E l'ayatollah Khomeini, che lanciò la fatwa su Salman Rushdie, studiò giurisprudenza, filosofia e gnosticismo.

La verità è che anche nelle epoche più illuminate e nei Paesi più civili si sono alzate le fiamme dei roghi e sono scattate le persecuzioni di artisti e intellettuali scomodi: nel '700 illuminista il Parlamento di Parigi condannò l'Emilio di Jean-Jacques Rousseau a essere bruciato nel cortile del Palazzo di Giustizia: il testo era colpevole di sottomettere la religione all'esame della ragione e di attribuire all'autorità sovrana un carattere falso e odioso (e non è un caso che Rousseau, a sua volta, pensasse che bisognava ripagare i suoi nemici con la stessa moneta censoria). E i blitz dei neonazisti che in alcune biblioteche pubbliche hanno strappato le copie del Diario di Anna Frank e altri testi sull'Olocausto, sono avvenuti nella civile Tokyo, quest'anno.

La verità è che, al di fuori dei recinti dorati delle democrazie rispettose dei diritti umani fondamentali, «oltre la metà della popolazione mondiale vive in regimi in cui i libri sono proibiti e distrutti e i loro autori perseguitati o uccisi. Peraltro non necessariamente in paesi afflitti da un tasso di analfabetismo superiore alla media, anzi».

Queste verità, spazzando via molti luoghi comuni sui roghi di libri e le censure, le scrive Pierluigi Battista nel suo pamphlet # I libri sono pericolosi, sottotitolo: «Perciò li bruciano» (Rizzoli). Una splendida controstoria del libro - dall'autodafè di Botticelli davanti a Savonarola ai mortai serbo-bosniaci che nel 1992 martellarono la biblioteca di Sarajevo fino ai «falò al servizio di Allah» dei talebani - che dimostra come, nel corso dei secoli, chi vuole bruciare le idee è colui che è dominato da un'Idea, e che se ad appiccare i roghi sono scagnozzi e soldataglia, a dare gli ordini sono spessissimo sovrani, capi di Stato e uomini di lettere. Che le distruzioni di libri e le persecuzioni di scrittori sono avvenute più in epoca moderna che nel Medioevo, e più tra le civiltà evolute che tra quelle arretrate, a sinistra non meno che a destra (Manuel Vázquez Montalbán, secondo il più trito dei luoghi comuni, fa dire agli amici progressisti del suo Pepe Carvalho che “Solo i fascisti bruciano libri”, e Battista commenta, intitolandoci un capitolo, “Magari fosse vero”). Che gli intellettuali, quando decidono di indossare l'uniforme dei gendarmi culturali, finiscono regolarmente per essere i più entusiasti rinfocolatori di roghi (quanti scrittori nell'Urss stalinista divennero feroci delatori di colleghi...). Che nel libero e democratico mondo del Web si bruciano in effigie, si sfregiano, si mettono alla gogna più libri e scrittori e nemici ideologici di quanti ne abbiamo mai visti le piazze reali dei secoli passati: i peggiori biblioclasti oggi si trovano sui social network. E che, soprattutto, spesso i libri rendono migliore chi li legge, ma a volte no: si dice che quanti più libri leggi, tanto più ti “liberi”. Anzi: puoi diventare un inquisitore. Giulio Andreotti, raffinato e colto bibliofilo, fu un sottosegretario vigile e severo sul fronte della censura cinematografica.

Soprattutto, questo libro, dimostra - con squisita perfidia e sottile scorrettezza - una cosa. Che affinché i libri siano veramente pericolosi per «corrompere le masse», ne occorrono tanti, e pessimi. E a questo, suggerisce l'autore, provvede la moderna industria culturale di massa. Mi per questo ci vorrebbe un altro libro..

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