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I nemici della libertà? Saranno spazzati via da una risata scettica

La politica secondo Oakeshott. Il grande filosofo conservatore abbatte il mito della società plasmata dall'ideologia. All'uomo non servono tutori ma poche e chiare regole

Secondo la concezione progressista, il conservatore non può essere un campione di libertà perché, tendendo a conservare e non a innovare, esclude la possibilità di creare ulteriori esperienze per la vita individuale e collettiva. Non è questo comunque il caso del britannico Michael Oakeshott, forse il maggior pensatore conservatore del Novecento, di cui viene ora tradotto in lingua italiana un capolavoro: La politica moderna tra scetticismo e fede, (Rubbettino, pagg. XXV-183, euro 16). Il conservatorismo di Oakeshott si risolve infatti in una forma estrema di libertà civile, la quale non è fondata su alcuna «metafisica» tipica del liberalismo classico, come la mano invisibile, l'ordine spontaneo, i diritti naturali. Egli depura il liberalismo anche da quell'economicismo che, da Locke ad Hayek, è sembrato talvolta costituire il suo orizzonte politico e ideale.

Oakeshott parte dall'idea che in sostanza vi sono due soli modi dell'agire politico: uno fideistico, l'altro scettico. Questa distinzione trascende la tradizionale dicotomia destra/sinistra, da lui giudicata superficiale. Per atteggiamento fideistico si deve intendere quel millenarismo secolare, che crede di poter costruire un mondo pianificato attraverso il controllo minuzioso e capillare delle vite dei singoli. Nel Novecento esso si è espresso soprattutto nel comunismo e nel nazionalsocialismo, con i loro tragici miti della dittatura del proletariato, della razza e del sangue. Lo scettico, al contrario, pensa che il governo non debba avere uno scopo proprio, ma lasciare agli individui la possibilità dispiegare al meglio i loro molteplici talenti.

Il conservatorismo di Oakeshott, che inclina decisamente verso questa prospettiva, si compendia nella disincantata convinzione secondo cui è pura illusione credere all'effettiva possibilità di migliorare la condizione umana attraverso l'uso del potere politico, tentando, cioè, di modificare il mondo in senso collettivo. Il continuo e interminabile mutamento delle situazioni sociali renderanno sempre vani tutti gli sforzi per porre sotto qualsiasi controllo ogni progetto razionale volto a imbrigliare la comunità in modo predeterminato, dato che la storia non in ha in sé alcun modello ideale da perseguire e nessuno stadio finale da raggiungere. Oltretutto, ampliando la sfera governativa, vengono limitate le opportunità per tutti quegli individui che per agire e pensare non hanno certo bisogno di tutori e di guide.

Lo scopo della politica non può essere quello di imporre alla collettività un determinato modo di vivere, ma quello di attivare le condizioni necessarie entro le quali chiunque possa dar seguito ai propri scopi e alle proprie aspirazioni. Lo scettico interpreta l'ordine politico come una realizzazione strumentale, che deve unicamente garantire a chiunque diritti e doveri; un ordinamento minimo delle regole e del loro rispetto, una semplice rule of law, la quale è ben lungi dal voler conseguire il perfezionamento morale delle persone. Tali dimensioni vanno invece vanno lasciate alla discrezionalità di gruppi ed individui in ambiti che devono rimanere al di fuori della sfera pubblica. La società civile proposta da Oakeshott è perciò esattamente il contrario di qualsiasi modello fondato sulla concezione etica della politica. Essa non mira ad imporre un ideale di vita, ma si propone di stabilire laicamente le condizioni giuridico-procedurali che rendono possibile l'interazione sociale e il libero perseguimento dei fini privati. In definitiva tale ordinamento si accontenta di garantire ordine, tranquillità, una giustizia soddisfacente, una sicurezza costante delle relazioni comunitarie.

Come tutti i veri conservatori, Oakeshott pensa che la natura umana sia immodificabile e dunque guarda con grande sospetto tutti coloro che, invasati da fedi millenaristiche e irrazionali, non vogliono rinunciare all'utopia di una sua rigenerazione. Giudica stolta la loro insistenza nel voler modificare ciò che si presenta all'esperienza come immutabile: tale azione otterrà sempre e necessariamente un risultato fallimentare, destinato talune volte anche produrre immani catastrofi, come la storia del secolo appena trascorso ha ampiamente dimostrato.

La concezione politica di Oakeshott, liberale o meno, volendo ridurre al minimo il ruolo dello Stato, si delinea comunque come una potente filosofia della libertà individuale.

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