Cultura e Spettacoli

Immigrati ed Europa: ecco i temi di oggi sui quali belare in coro

Scrittori, filosofi e artisti brucano in pascoli sicuri senza mettere a rischio collaborazioni editoriali, ospitate tv e posti di lavoro in quotidiani «prestigiosi» Rimanere fuori dal gregge è il loro incubo peggiore

Immigrati ed Europa: ecco i temi di oggi sui quali belare in coro

Ugo Guandalini (1905-71), che la storia della cultura italiana conosce col nome della casa editrice che fondò nel 1932, Guanda, frequentò tutta la vita pecore e pastori. Non perché fosse allevatore. Ma perché era italiano, e sapeva che quello era il carattere dei propri connazionali. I quali, come dimostrano i tempi di Ugo Guanda e come confermano i nostri, si dividono in pastori, che sono pochissimi: dittatori, capi di governo, politici e notabili, ricchissimi industriali, guru e cattivi maestri; e pecore, che sono tantissime: cioè tutti gli altri. Dei due, più soddisfatte della propria condizione sono le seconde.

Ecco, le «considerazioni sugli italiani» che Ugo Guanda scrisse nel 1949 - un'impietosa disamina del malcostume e della vigliaccheria dei ceti intellettuali italiani mai più ristampata fino a oggi - portano il titolo, perfetto, Il piacere d'essere pecora (Henry Beyle, pagg. 32, euro 20). Amaro j'accuse contro gli uomini di cultura del Paese, ai quali è rinfacciato di non aver svolto sotto il fascismo, e di non svolgere nell'Italia democratica, quel ruolo di guida spirituale e morale della nazione cui, per privilegio di intelligenza, sarebbero destinati, lo scritto di Guanda, al netto del contesto in cui nasce, è perfetto per l'oggi. Il testo - di cui anticipiamo uno stralcio in queste pagine fu redatto in occasione della mancata adesione di professori e insegnanti allo sciopero indetto a Parma il 30 marzo 1949 per solidarietà con le maestranze della Bormioli, importante impresa locale del settore vetrario, minacciate nei loro diritti. L'episodio, in sé marginale, offrì lo spunto all'editore (che in quel momento aveva abbandonato l'insegnamento così da dedicarsi totalmente alla sua impresa) per una riflessione sul rapporto tra intellighenzia e potere. Rapporto caratterizzato, in Italia, da un congenito ossequio dell'uomo di pensiero verso colui che tiene in mano il bastone del comando e la borsa dei denari. Poltrone e prebende sono sempre l'ispirazione più forte.

Ugo Guandalini, che sapeva benissimo di cosa stesse parlando (inizialmente tesserato del Pnf e legato agli ambienti intellettuali più vivaci del fascismo modenese, si spostò poi su posizioni eterodosse rispetto al regime), è così sconfortato dall'appiattimento sulla linea di coloro che avrebbero dovuto dettarne una diversa, da scrivere: «Il fascismo non era, almeno inizialmente, un movimento illiberale e intollerante; lo divenne rapidamente più che per volontà cosciente e precisa di Mussolini, per l'omertà grandiosa, l'acquiescenza senza limiti, la viltà sconfinata, la mancanza completa di coraggio morale degli italiani e particolarmente dei chierici». Ossia quegli uomini che avrebbero dovuto essere «buoni pastori». E che invece si accucciarono come pecore.

È curioso, peraltro, e altamente simbolico, che i nostri intellettuali siano sempre etichettati con termini presi in prestito dal regno animale: camaleonti, salamandre, canguri, scimmie. Pecore.

Seguire il gregge è più semplice, e più sicuro. Uscirne - privilegio riservato a poche stecche del coro, irregolari del pensiero e penne controcorrente - è impossibile, o comunque molto costoso. Significa scrivere su fogli minori o ghettizzati, o essere esposti alle bacchettate dei capi-branco, alle morali buoniste o al pubblico ludibrio. Chi, oggi, rischia pelle e carriera per dire qualcosa contro la vulgata multiculturalista in tema di immigrazione e islam? Pochi ignoranti, pazzi o razzisti: ieri la Fallaci, oggi Eric Zemmour, Alain Finkielkraut, Pierre Manent... Chi, oggi, rischia cattedra e reputazione per alzare una parola contraria all'Unione europea? O sei sindaco di Londra, come Boris Johnson, oppure sei un populista, un folle, uno che non sa nulla di politica e di economia. Chi, oggi, mette a rischio collaborazioni, interviste e ospitate tv, fregandosene di partecipare al circo mediatico-mondano-intellettuale, per affermare che l'arte contemporanea fa schifo e che la letteratura di questi anni è spazzatura? O ti chiami Jean Clair e Harold Bloom, oppure sparisci dai giornali, dai festival e dai talk show. E sui temi della (de)crescita e dello sviluppo, oppure della famiglia e della bioetica, quante voci fuori dal coro, cioè quante pecore fuori dal gregge, capita di ascoltare? Quanti - si chiedeva amaramente e perfidamente Ugo Guanda settant'anni anni fa - si avventurano su quel miracoloso e misterioso cammino «che non promette compensi materiali, aumenti di stipendi, onorari, ma fatica senza tregua, che però illumina il volto di chi lo percorre», e che si chiama Cultura? Pochi.

Tutti gli altri, brucano.

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