Cultura e Spettacoli

"Cara mamma, ho visto i primi morti... Buoni soldati che hanno fatto il loro dovere"

Impressioni dal fronte, dalla quotidianità dell'orrore

"Cara mamma, ho visto i primi morti... Buoni soldati che hanno fatto il loro dovere"

Per anni sono state cercate nel solaio della sua grande casa di Besana Brianza. Poi, nel Natale scorso, la vedova le ha trovate. Sono le lettere che Eugenio Corti (1921-2014) inviò ai famigliari dal giugno 1942 al gennaio 1943 durante la campagna di Russia, cui partecipò come sottotenente. Ora arrivano (da oggi) in libreria: Eugenio Corti, «Io ritornerò». Lettere dalla Russia 1942-1943 (Ares, pagg. 248, euro 14; a cura di Alessandro Rivali). Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo qui due lettere.

27 giugno 1942

Carissima mamma,

immagino, dopo tutte le lettere che ho scritto, che vi siate fatta un'idea ormai chiara della mia nuova vita.

Ad ogni modo ti riepilogherò qui la mia giornata.

Come sai noi tre Ufficiali comandanti la 2º Batteria del 61º Gruppo (il 30º Raggruppamento comprende il nostro e altri due gruppi) dormiamo in una baracchetta di legno a quattro stanze vicina alle costruzioni in muratura dove dormono i soldati. Naturalmente, intorno agli accantonamenti, secondo le norme di guerra, ci sono le sentinelle. Io occupo nella baracchetta una delle stanze centrali.

Al mattino dunque ci leviamo all'ora preferita (solitamente per me le 7 e ½ o le 8) facendoci chiamare dall'attendente che ci porta il caffè nella gavetta, e prepara una bacinella d'acqua dove lavarci.

Si fa poi quello che si vuole fino alle undici, restando fermo che almeno due Ufficiali devono restare sempre in Batteria. Per far visita agli altri colleghi, andare a caccia ecc. ci si dà perciò il turno.

Alle 11 c'è la mensa, a un tavolino all'aperto se è bel tempo o nella stanza del Capitano (per ora libera). C'è sempre la pasta asciutta, la pietanza (solitamente scaloppine, ma anche pesce o uova) con insalata selvatica cotta come gli spinaci (è ricchissima di vitamine) e infine il formaggio. Non sempre c'è la frutta, ad ogni modo il pasto sia del mezzogiorno che della sera è abbondante così che si avanza sempre della roba.

L'acqua viene portata con i camion da molto lontano perché quella delle fontane è poco buona (sottosuolo di carbone); ad ogni modo noi Ufficiali ci facciamo spesso arrivare bottiglie d'acqua minerale.

Dopo pranzato di solito si va a dormire qualche oretta e il pomeriggio passa come la mattina. Alle 18,30 cena (uguale al pranzo), poi partita di foot-ball fra i soldati o musica (almeno 10-12 grammofoni ci sono) e canzoni. Si discorre del più e del meno e verso le 21-22 a nanna. Se viene l'ordine di sparare (siamo naturalmente collegati per telefono a tutte le altre batterie e ai comandi) si spara e poi tutto ritorna come prima.

Vita normalissima quindi, che ormai faccio da una decina di giorni. Non ho ancora ricevuto posta con l'indirizzo esatto, ma spero che ormai stia per arrivare.

Vi saluto tutti e vi bacio. Un bacio in particolare a te, mamma.

22 luglio 1942

Carissime e dolcissime fanciulle,

mi è arrivata ieri in una sosta della mia avanzata (la quinta sosta, terza tappa, da che ho lasciato i vecchi boschi con relativa baracchetta ecc. della linea di resistenza invernale) la vostra lettera alata.

E mi ha portato un sprazzo di cielo azzurro su una distesa di mare turchino e una fresca aria profumata di salsedine. Ne avevo giusto bisogno, perché intorno al bosco in cui siamo situati, negli sterminati campi di grano incolto, ci sono le trincee dalle quali i Russi hanno tentato di opporsi alle nostre fanterie, attaccando combattimento. Le fanterie sono passate e neanche più si sentono i loro colpi in lontananza; i Russi hanno ripiegato, ma alcuni sono rimasti sui bordi delle trincee con lo sguardo rivolto al cielo o il volto contro la terra. Buoni soldati, che hanno compiuto il loro dovere.

Dopo vari giorni di sole cocente e notti di pioggia, però, un tremendo odore si è levato sui campi di grano, e il vento lo spinge nel bosco dove siamo noi.

Li ho fatti seppellire da alcuni soldati volonterosi, ma allorché la vostra lettera mi è arrivata non erano ancora sepolti; ecco perché il vostro scritto, con la sua freschezza, e il suo profumo, mi ha fatto bene.

Io tiro avanti con serenità ed allegria, insieme agli altri due colleghi che sono nella mia batteria. Siamo in piena avanzata. Vediamo genti nuove, paesi e città nuove, terre nuove. Genti un po' strane, ma in fondo, come tutte le altre attraverso le quali sono passato, simili a noi. Sono entrato perfino in un piccolo campo di concentramento, e fra gli altri ho fatto interrogare, sulle cose di casa sua, perfino un tardato di lineamenti mongoli. Paesi nuovi, poverissimi, con le casette di 3 o 4 stanze, a un piano, fatte di paglia e calce e legno. Città dalle gigantesche case stile stabilimenti, con strade di terra battuta, dure e ostiche come le materie d'ingegneria (poveri Pino e Achille!). Terre meravigliose, tutte a conche senza confine, verdissime d'erba, smaltate fino all'estremo orizzonte da bei fiori gialli, o giallo-verdi di girasole, o bionde di grano.

Avanziamo, avanziamo sempre; bisogna avanzare per porre fine alla guerra e tornare fra voi.

Io però, con le artiglierie del vecchio CSIR che già da un anno combattono senza tregua, sono un po' indietro. Le useranno solo in caso di bisogno; finora non abbiamo sparato un solo colpo.

Mi auguro che voi vi divertiate, tu Caterina specialmente, che per la prima volta sei libera delle tue azioni.

Vi auguro ottima compagnia e vi abbraccio e bacio,

Eugenio

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