Cultura e Spettacoli

Karl Kraus, l'aforisma è una «Fiaccola» che brucia tutto e tutti

I politici, la giustizia, i mass media. Persino le archistar dell'epoca Rivive in due raccolte il genio corrosivo di un intellettuale eccentrico

Gli scrittori sono come gli abiti. Ci sono quelli che vanno di moda in un certo periodo, quelli classici che non sbagli mai a sceglierli, quelli alternativi... da quattro soldi, dozzinali o dallo stile unico. Ci sono quelli che indossati, o letti, una volta, non li indossi, o leggi, più. E quelli sempre perfetti, in tutte le occasioni. Come Karl Kraus (1874-1936), che pure fu il più anticonformista, inelegante, scomodo, fuori moda e inattuale scrittore del suo e del nostro tempo. Quindi eterno e senza tempo. Come la sua satira dinamitarda: legata alla Vienna della propria epoca, ma universale. Come i suoi aforismi al cianuro: nati da una singola occasione, ma validi per sempre. Karl Kraus un secolo fa sulla sua rivista Die Fackel, perennemente accesa dal 1899 al 1936, lanciò attacchi, polemiche, denunce e sarcasmi che oggi hanno la stessa atrocità e attualità di ieri.

Nei quasi mille numeri del suo giornale, che scriveva tutto da solo, si scagliò con l'arma dell'ironia e la forza della rabbia contro la corruzione della politica (!), l'iniquità della giustizia (!!), il condizionamento dei mass media (!!!) - e non c'era ancora la televisione - e persino le archistar dell'epoca... Ma soprattutto contro la violenza peggiore, per lui: le falsità, le ipocrisie, i luoghi comuni del linguaggio quotidiano, la cui degenerazione è l'indice più affidabile dell'imbarbarimento della civiltà.

Karl Kraus sosteneva che lo Stato, fra le tante tasse (e siamo nella Vienna di inizio Novecento...) dovrebbe creare anche quella sulle frasi fatte, così potrebbe «battere cassa traendo capitali da una miseria spirituale». Egotista e misantropo, critico di ogni ideologia, dal capitalismo al comunismo fino all'hitlerismo che fece appena in tempo a vedere, e che pure capì meglio di tutti i suoi contemporanei, apolitico e agnostico nonostante un battesimo cattolico poi rinnegato, antisionista e per alcuni anche in odor di antisemitismo pur se ebreo, odiatore implacabile di giornali e giornalisti, lui che fu grandissimo giornalista e fondatore di giornali, conservatore e antiprogressista, intellettuale puro che odiò e stroncò scrittori, attori, musicisti, registi e poeti, fu così sempre fuori posto che riuscì a parteggiare contro Dreyfus. Un apocalittico, mai integrato. Ecco perché è sempre un privilegio raro e un piacere inappagabile leggere o rileggere i suoi mostruosi e inquietanti pensieri, come quelli scelti dalla sua studiosa storica Paola Sorge sotto il titolo Essere uomini è uno sbaglio (Einaudi) e da Simone Buttazzi in Non c'è niente da ridere (Piano B). Due raccolte di aforismi terribili, acuminati, spiazzanti e - se non fosse un luogo comune - attualissimi.

La prima raccolta, uscita prima dell'estate, punta sulla politica e la religione, passando per gli eterni vizi e le rare virtù umane («Dove si appunta il nostro sguardo, la morale strizza l'occhio», oppure «Le verità vere sono quelle che si possono inventare», ma ce n'è anche per le donne: «Le donne sono le persone migliori con cui parlare il meno possibile»), l'altra, in uscita oggi, seleziona riflessioni - come da sottotitolo - A proposito di giornalisti, esteti, politici, psicologi, stupidi e studiosi, categorie che Karl Kraus sembra far fatica a distinguere. Non c'è niente da ridere è un pamphlet impietoso e irresistibile contro l'intellighenzia da salotto, da sala stampa, da concerto e da Parlamento (arricchito anche da due testi inediti in Italia sul cinico uso nei giornali dei coccodrilli, i necrologi preparati in anticipo, e sugli effetti grotteschi e nefasti delle «voci di corridoio»). Sono aforismi velenosi che strappano il (sor)riso e urticano le coscienze, alcuni così scorretti che non appaiono neppure nella storica edizione Detti e contraddetti curata da Roberto Calasso per Adelphi nel 1972. Uno di questi, ad esempio, molla un sonoro ceffone ai sionisti e un altro paio esprimono un'idea diciamo difficilmente condivisibile sul concetto di democrazia («Democratico significa poter essere schiavo di chiunque»). Anche se quelli che escono peggio dalle forche caudine degli aforismi di Kraus, insieme agli psicologi (non sopportava Freud) e ai politici-imbonitori («Il segreto dell'agitatore è di passare per stupido esattamente come il suo pubblico, affinché questi creda di essere intelligente quanto lui», e così, scrivendo dall'Austria di ieri, sistema anche il Grillo e i grillini di oggi), sono i giornalisti: «Non avere neanche un pensiero ed essere in grado di esprimerlo: ecco cosa serve per diventare giornalisti».

Ma pure gli intellettual-pedagoghi vengono sistemati: «La gente ubriaca di sete di sapere è una piaga sociale. Non bisogna imparare di più di quello stretto necessario che serve a fronteggiare la vita». Un tipo cattivo, Karl Kraus. A pensar male si fa peccato.

Ma a pensar breve, non si sbaglia mai.

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