Cultura e Spettacoli

L'«affaire» Maurras, ovvero il nazionalismo come rivoluzione

Tradizionalista e antitedesco, abbracciò l'illusione di Vichy ma ne fu deluso. La prima biografia scientifica dell'intellettuale

L'«affaire» Maurras, ovvero il nazionalismo come rivoluzione

L'uomo che avrebbe rinnovato la destra francese nel secolo scorso e ne sarebbe diventato il simbolo, Charles Maurras, nacque in una piccola città della Provenza, Martigues. A quella regione, impregnata di romanità e classicismo, immortalata nelle liriche di Frédéric Mistral, egli sarebbe rimasto sempre legato: l'amore per la sua terra è consegnato a pagine bellissime, in prosa e in poesia. Anche se - ed è comprensibile - l'impegno politico di Maurras ha finito per offuscarne o metterne in secondo piano l'immagine di scrittore e poeta.

La finissima biografia che Olivier Dard, professore di storia contemporanea alla Sorbona, ha dedicato all'uomo politico francese, con il titolo Charles Maurras. Le maître et l'action (Armand Colin, pagg. 352, euro 25), pur privilegiando la dimensione storico-politica, non trascura l'aspetto letterario. È un ritratto a tutto tondo, la prima grande biografia scientifica su un personaggio discusso e controverso il cui peso però, piaccia o non piaccia, nella vita culturale e politica francese ha continuato (e continua) a farsi sentire malgrado l'immagine negativa costruita attorno alla sua persona per le sue posizioni antidemocratiche, oltre che per il suo rapporto con il maresciallo di Francia Philppe Pétain e il governo di Vichy, che gli valse il processo per collaborazionismo, la condanna e il carcere.

Il passaggio di Maurras dalla letteratura alla politica avvenne nel 1896 quando, poco meno che trentenne (era nato nel 1868), fu inviato dalla Gazette de France ad Atene a seguire le Olimpiadi, le prime dell'epoca moderna volute dal barone Pierre de Coubertin. Qui, davanti alle rovine e alle reliquie del mondo antico, si verificò quella che Dard, riprendendo un'espressione dello stesso Maurras, definisce la sua «conversione». In realtà, la visione degli antichi templi e delle vestigia della civiltà antica trovò una precisa corrispondenza, a livello emozionale, con l'amore per la classicità e per l'ordine frutto della sua «provenzalità». Classicismo e ordine divennero, da quel momento, i temi fondamentali del suo pensiero al punto che, in una pagina celebre, giunse a sostenere: «io sono romano nella misura in cui mi sento uomo». Di qui derivarono sia il suo antiromanticismo sia il suo antigermanesimo. Il romanticismo, germinato sulle idee di Rousseau, aveva, secondo lui, fruttificato in Germania capovolgendo i giudizi convalidati dalla tradizione e, così, aveva prodotto il «rivoluzionarismo». Dalle medesime premesse discesero tanto la teorizzazione maurrassiana di una monarchia «tradizionale, ereditaria, antiparlamentare e decentralizzata», quanto l'ammirazione per la Chiesa cattolica assunta a modello di organizzazione politica.

Erano gli anni della Terza Repubblica: la repubblica nata dalla disfatta di Sedan del 1870, che aveva lasciato una ferita sanguinante nell'orgoglio dei francesi e stimolato il desiderio di révanche nei confronti della Germania; la repubblica, ancora, così ben descritta nel ciclo dei quattro splendidi romanzi di Anatole France che hanno per protagonista lo scettico e disilluso Bergeret. Quando scoppiò l'affaire Dreyfus, destinato a dividere il Paese fra colpevolisti e innocentisti e a farne esplodere le contraddizioni, Maurras, come gran parte dell'ambiente nazionalista, prese posizione contro l'innocente capitano ebreo perché la vicenda aveva finito per assumere una valenza politica che metteva in gioco l'onore dell'esercito sullo sfondo della storica ostilità tra Francia e Germania. È rimasta celebre la sua battuta al termine del processo che lo avrebbe condannato per collaborazionismo: «È la vendetta di Dreyfus!».

Proprio dall'affaire Dreyfus, secondo un «luogo comune» della storiografia ricordato da Olivier Dard, sarebbe nata l'Action Française. E, con essa, poco alla volta, si sarebbe definito il «nazionalismo integrale» di Maurras. In realtà, a parte le coincidenze temporali, l'Action Française fu il punto di confluenza di vari filoni della destra francese (controrivoluzionario, tradizionalista, orleanista, bonapartista, nazionalista) come ha dimostrato René Rémond in un'opera, divenuta un classico, sulle destre francesi. Punto di confluenza, sì, ma anche esito di un pensiero «forte» che spinse il padre del sindacalismo rivoluzionario, Georges Sorel, a scrivere che Maurras rappresentava per la monarchia e la destra francese ciò che Marx era stato per il socialismo. Attorno a Maurras e all'Action Française (movimento e giornale) e attorno alle iniziative culturali collegate si ritrovarono Jacques Bainville e Léon Daudet, Georges Valois e Georges Bernanos. Alcuni di questi divennero dissidenti, altri, come Jacques Maritain, si allontanarono. La capacità di attrazione del maurrassismo nell'alta cultura francese e, in particolare, nel mondo cattolico fu però tale da preoccupare la Santa Sede, impegnata in un riavvicinamento fra clero e Terza Repubblica. Di qui la condanna, da parte di Pio XI nel 1926, del movimento poi tolta nel 1939 da Pio XII.

Quando Pétain giunse al potere Maurras parlò di «sorpresa divina» e si illuse, senza venir meno al suo antigermanesimo, di realizzare la «rivoluzione nazionale» in una chiave tradizionalista e antitedesca. Le cose andarono diversamente e il regime, poco alla volta, diventò «collaborazionista» nel senso pieno del termine e nei suoi aspetti peggiori. Il volume di Dard sottolinea giustamente come la conoscenza di Maurras e del suo movimento sia importante per comprendere la storia della prima metà del XX secolo.

Ma essa è importante per capire anche l'evoluzione storica e i travagli della Francia dei decenni successivi, dal gollismo fino a Marine Le Pen.

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