Cultura e Spettacoli

L'acerba saggezza dei bambini di "papà" Andric

In sette magistrali racconti dell'autore del "Ponte sulla Drina" il difficile passaggio all'età adulta di alcuni giovanissimi

Ivo Andric visto da Dariush Radpour
Ivo Andric visto da Dariush Radpour

Quanto sarebbe piaciuta, a Ivo Andric, la storia più poetica e struggente della settimana scorsa, quella del tredicenne polacco adottato da una famiglia italiana il quale, per riassaporare un poco l'aria di casa, ha percorso (guidando una Mercedes!) un migliaio di chilometri, da Treviso fino alle parti di Lipsia prima di essere bloccato dalla polizia, fallendo quindi nell'impresa...

Gli sarebbe piaciuta per due motivi. Intanto perché il protagonista è uno di quei «piccoli uomini che noi chiamiamo “bambini”», una di quelle persone che «hanno i loro grandi dolori e le loro lunghe sofferenze, che in seguito, quando sono persone sagge e adulte, dimenticano. O meglio, perdono di vista», come scrisse in Prozor. E gli sarebbe piaciuta anche perché quel ragazzino ha perso la sfida con se stesso, apprestandosi tuttavia a vincere una gara più importante contro il tempo e lo spazio: il passaggio all'età maggiore, il diventare uomo.

Dei «tre» Andric, due sono ben noti: in primo luogo il celebre scrittore definito «l'Omero dei Balcani», l'autore di Il ponte sulla Drina, La cronaca di Travnik, Signorina, vincitore del Nobel nel '61; ma anche il diplomatico che servì il proprio Paese, la Bosnia, in mezza Europa, modellando il ruolo sugli eventi di una storia che parte dall'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, nel '14, e arriva alla Berlino hitleriana del '39-41, quando si adoperò in favore degli intellettuali polacchi internati nei campi di sterminio nazisti.
Quanto al «terzo» Andric, proprio quello che avrebbe apprezzato la storia del ragazzino nostalgico, quello che lascia sullo sfondo la Storia con la maiuscola per dedicarsi alla storia minuscola, individuale e proprio per questo più collettiva dell'altra, quello delle brevi prose in gran parte autobiografiche, il miniaturista psicologo, il bozzettista che coglie il particolare rivelatore, l'Andric puro e distillato in poche pagine, lo troviamo in una raccolta di racconti quasi tutti inediti in Italia e da poco nelle nostre librerie. Si intitola Litigando con il mondo (Zandonai, pagg. 148, euro 15, traduzione di Alice Parmeggiani, postfazione di Bozidar Stanisic).

Scritti fra il '36 e il '60, questi sette gioielli costituiscono una completa educazione sentimentale tracciata attingendo ai tormenti di piccoli e sublimi protagonisti. Tutti loro frequentano la scuola elementare o il ginnasio, sono sul confine fra l'infanzia e l'adolescenza o su quello fra l'adolescenza e la giovinezza «matura». Non sono ancora gli animali politici e sociali che di lì a poco la smetteranno di «litigare con il mondo» per scendere a patti con lui. Diamanti grezzi, duri quanto la loro testardaggine eppure teneri quanto la loro innocenza, si scontrano con l'ostile mondo dei grandi. E fanno la conoscenza con le ingombranti figure (spesso anche retoriche, perché no) che li accompagneranno dai banchi di scuola alla tomba.

Nel racconto che dà il titolo alla silloge, un moccioso di otto anni s'imbatte nella Trasgressione, sotto forma di una bestemmia pronunciata da un tipo a detta di tutti «sospetto». E osa imitarlo, quel delinquente, rimanendo in trepida attesa di una Condanna che forse nemmeno arriverà. In Sulla riva compare sua maestà la Memoria, quando il giovanissimo Marko, dopo una nuotata da una riva all'altra del fiume, rammenta il bacio sulla guancia concessogli anni addietro dalla coetanea Roza. Una Memoria dolce che si scontra con il Presente, uscendo sconfitta come sempre sarà in futuro. In Mila e Prelac, ecco l'Amore che visita per la prima volta un bimbo. Ha il volto della zia Mila, con quella chioma che «lei portava dietro le spalle con un particolare movimento del capo, improvviso ed eccitante come una forza della natura». Sarà lei, per tutta la vita, l'ideale di bellezza e serenità, ma sarà anche lei ad alimentare il demone della Gelosia, per colpa di una lacrima che riga il suo volto dopo la morte di Prelac, uno sbandato assunto dal comune come accalappiacani.
Perché il mondo dei grandi, proprio in questo si differenzia da quello dei cuccioli di uomini e donne: non è lineare e diretto, non è il mondo del sì e del no, ma ha due facce come le monete che si gettano in aria per poi tentare d'indovinare se sarà testa o croce. Se, per esempio, la Legge vincerà sulla Colpa. In Il libro è questo l'interrogativo che consuma le energie dello studentello Latkovic. Ha preso in prestito dalla biblioteca del proprio istituto un libro sulle spedizioni nelle zone polari, ma il prezioso (soltanto per lui) volume gli cade subito a terra e si rovina irrimediabilmente o quasi. I sei mesi che passano prima della restituzione all'arcigno docente sono un purgatorio costellato dai peggiori scenari disegnati dal ragazzo che addirittura giunge a invocare la morte per sottrarsi alla responsabilità di rispondere della propria mancanza.

E in La gita un'allegra scampagnata nei pressi del castello di Dobrun risveglia in Petar il ricordo (o il sogno) di una favola nera. Nera come la cronaca con cui si confonde: il suicidio di una servetta accusata ingiustamente del furto di un anello dalla sua padrona. Il chiodo uncinato che il ragazzo ha raccolto da terra è anch'esso, per lui, un anello. E gettarlo nel fiume significa riscattare la Storia con la maiuscola tramite la storia minuscola.

Quella che Andric racchiude nello scrigno di sette indimenticabili racconti.

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